La cura è un bene che non si produce solo grazie all’impegno dei genitori e della famiglia nel suo complesso, ma anche grazie alla creazione di condizioni di serenità ambientale, di risposte flessibili, di disponibilità sociale integrata e condivisa tra attori diversi in grado di contribuire al benessere complessivo delle bambine e dei bambini.

La costruzione di comunità di cura è possibile solo grazie alla collaborazione di strutture sanitarie territoriali e ospedaliere, servizi sociali e consultori familiari, di professionisti della cura e dell’assistenza medica, di educatori, di risorse civiche di sostegno sociale e mediazione culturale, dei cosiddetti “pari”, vale a dire le mamme e i papà, di servizi di sostegno fiscale, economico, giuridico, amministrativo, abitativo, di rappresentanti delle istituzioni territoriali e comunali. Ma mettere insieme i diversi attori non è cosa semplice, come ci spiega Alessandra Notarbartolo, coordinatrice dello Spazio Mamme di Save the Children a Palermo, per l’associazione Zen Insieme.

“Costruire”, cioè promuovere, generare, attivare e manutenere nel tempo la Comunità di cura e il conseguente lavoro di rete è, per noi dell’associazione Zen Insieme, la condizione essenziale del lavoro sociale. Costituisce, infatti, un orizzonte di senso assolutamente imprescindibile. Nella pratica, significa attivare relazioni e sinergie con i servizi, facilitarne l’accesso anche accompagnandovi le famiglie fisicamente, costruire percorsi di affidamento e fiducia, legami e connessioni tra varie risorse formali, informali, primarie e secondarie, al fine di promuovere il benessere dei bambini e delle bambine.

Non è sempre facile, naturalmente. Gli ostacoli sono tanti, determinati, sia dalla diffidenza delle famiglie, dalla paura di scatenare ricadute punitive, controlli, limitazioni, giudizi, sia, dal lato istituzionale, la difficoltà dell’approccio, i tempi spesso troppo dilatati, il peso dell’emergenza che a volte sovrasta la programmazione e il progetto di vita delle famiglie.

 

L’alleanza culturale: il primo passo verso le comunità di cura

Per questo il nostro lavoro deve essere anche un lavoro culturale, che promuova un senso di appartenenza alla comunità territoriale, in primo luogo tra i genitori che incontriamo, favorendo la loro voglia di autonomia e la loro capacità di autodeterminazione e, più in generale, che diffonda uno spirito di identità condivisa e di cittadinanza attiva tra gli attori che abitano e animano quel territorio. Non c’è altro modo secondo noi, non può esistere alcuna idea di contrasto alle povertà e di sostegno alla cura se non si condivide un intervento che tenga conto della storia delle persone, della fragilità ma anche dei punti di forza, delle risorse, e se non si attivano tutte le realtà che a queste esigenze possano dare risposte.

L’importanza della comunità di cura è allora fondamentale. Perché coordinare una rete di interventi significa prima di tutto costruire la relazione, consolidare l’alleanza, mediare, facilitare, insomma, esserci e sapersi “dividere il lavoro”. Occorre conoscere e rispettare il territorio in cui si agisce, tenere conto del tessuto sociale, e soprattutto imparare a riconoscersi reciprocamente. Ma questo non basta. Occorre anche costruire un legame di fiducia con le persone e i nuclei familiari, specie i più fragili, senza aspettare che siano loro a muoversi. Si potrebbe dire, usando un’immagine molto nota, che se Maometto non riesce ad arrivare alla montagna, bisogna portare la montagna da Maometto. Bisogna portare le operatrici del consultorio (l’assistente sociale, la psicologa, l’ostetrica, la ginecologa) dentro i luoghi dove le persone vivono e vanno, a cominciare dallo Spazio Mamme, sedersi tutte insieme e raccontarsi, ascoltarsi. Bisogna portare il servizio sociale dentro Spazio Mamme, rispondere alle domande, fugare dubbi e paure. Bisogna portare il medico del centro vaccinazioni, perché bisogna sapere che è fondamentale vaccinare i propri figli e le proprie figlie. Bisogna portare la nutrizionista dentro il consultorio, nei giorni di ricevimento delle donne in gravidanza, per parlare dell’alimentazione in gravidanza e durante l’allattamento, e bisogna farlo anche informalmente, se necessario, grazie alle relazioni, per ridurre il peso di un iter burocratico mastodontico che imporrebbe permessi e convenzioni impossibili da ottenere nei tempi richiesti dal bisogno delle bambine e dei bambini.

 

Un presidio sanitario sociale come ponte verso il servizio sanitario nazionale

È fondamentale, inoltre, dare risposta ai bisogni sanitari dei bambini e delle bambine, che troppo spesso, a causa dei tempi lunghi dei servizi pubblici per l’attivazione delle terapie fondamentali di supporto alla crescita, si ritrovano a subire le conseguenze negative di interventi troppo tardivi. Per questo Laboratorio Zen Insieme ha aperto, nel quartiere Zen di Palermo, un presidio sanitario sociale e gratuito, per sopperire alle carenze del servizio sanitario nazionale in tema di liste d’attesa, capillarità territoriale e costi d’accesso ai percorsi diagnostici e di cura. L’obiettivo non è sostituirsi al servizio pubblico, ma al contrario fare da ponte, riempire il vuoto dei tempi, lavorare sulla sanità di prossimità – riconosciuta come cruciale anche dal recente DM 77/22 – che è la strada più efficace per dare continuità alla tutela del diritto alla salute e alla cura per tutte e tutti.

Attualmente nel presidio sono impegnati ogni settimana circa 16 medici volontari. Le specializzazioni rivolte a bambine, bambini e adolescenti sono logopedia, neuropsichiatria infantile, psicologia minorile. Nel primo anno di attività del presidio sono state effettuate più di mille tra visite di controllo, consulti e terapie, tra adulti e minori.

Attivare percorsi partecipati, quindi, permette di migliorare l’informazione e di rendere più pertinente l’intervento. Inoltre, permette di identificare le soluzioni più tempestive ed efficaci ai bisogni delle persone, senza mai sostituirsi ai servizi ma rendendo anzi un servizio di semplificazione per chi deve agire queste soluzioni in modo forte e continuativo, e cioè il servizio pubblico. Non c’è altro modo per ridurre la solitudine delle persone e per fare in modo che la qualità della vita di tutti i bambini e tutte le bambine sia il più vicino possibile alla sacralità dei loro diritti.

Per acquisire ulteriori informazioni visita il blog di Save the Children Italia, uno spazio di approfondimento tematico sui diritti di bambini e bambine e sulla genitorialità