Nei nostri progetti e programmi ci domandiamo sempre più spesso come veicolare un’educazione alle differenze di genere attraverso le nostre attività e i nostri laboratori. Quali giochi proporre ai bambini e alle bambine? Quale linguaggio utilizzare con i genitori, ma anche con i bambini e le bambine? Di quali messaggi farsi portavoce? L’associazione Zen Insieme, partner di Save the Children per le attività dello Spazio Mamme di Palermo, lavora molto su questa tema. Alessandra Notarbartolo, coordinatrice dello Spazio Mamme, ci racconta il loro approccio.

Il linguaggio di genere, cioè nominare sempre (almeno) maschile e femminile, è uno strumento efficace per iniziare a trasmettere ai bambini e alle bambine il valore della differenza, ma anche la forza della parità nella differenza.

“Ciò che non viene nominato non esiste”, dice la linguista Cecilia Robustelli, e questa affermazione esprime tutta l’importanza di riconoscere il femminile, per promuovere un più ampio modello di contrasto agli stereotipi di genere, in cui le persone, specie se si agisce sin dall’infanzia e dai primi giochi, danno valore all’universo femminile nominandolo, concependolo, contribuendo a destrutturare certe visioni e gabbie, retaggio della cultura patriarcale.

Ed è proprio per questo, che nel percorso di sviluppo del cervello di un bambino o di una bambina che si figurano il mondo e costruiscono i propri modelli, nominare il femminile, o non farlo, fa la differenza, eccome.

Lo si vede, banalmente, quando si chiede a un gruppo di bambini e bambine di fare un disegno. Se si dice loro: “disegnate un astronauta”, quasi sempre, sia maschi che femmine, disegneranno astronauti uomini. Se si dice, invece, “disegnate un astronauta o una astronauta”, diverse bambine disegneranno astronaute femmine e a volte anche i maschietti. Con l’uso di un articolo si dà alle bambine la possibilità di pensarsi astronaute e si ricorda ai bambini che gli astronauti non sono solo maschi.

 

Declinare il linguaggio in base al genere: un primo fondamentale passo per combattere le differenze

I giochi per educare alle differenze di genere i bambini e le bambine da 0 a 3 anni partono quindi proprio dal linguaggio. Il linguaggio deve diventare pratica quotidiana ed essere inserito in un sistema pedagogico più ampio: dalle routine dei ruoli in famiglia, alle attività di riconoscimento delle emozioni; dall’emersione di desideri “altri” rispetto ai condizionamenti maschile/femminile, alla possibilità di pensarsi liberi e libere di essere/diventare qualsiasi cosa si desideri.

Insieme, maschi e femmine, si gioca a cucinare, pulire casa, stirare; insieme si gioca con le costruzioni, con il banchetto da lavoro, e insieme si gioca “a prendersi cura”, di una bambola che diventa un bebè, di una piantina, di un animale. Insieme si gioca con i super eroi e si sogna con i loro poteri, e insieme si de-strutturano le storie, in cui le bambine non sono solo principesse che vengono salvate dal principe azzurro maschio, ma trovano soluzioni, inventano espedienti per “salvarsi” da sole, oppure si invertono i ruoli e i maschietti hanno paura, sono in pericolo e bambine e bambini si “salvano” a vicenda, lottando insieme contro il mostro di turno.

C’è un bel video*, in cui un bambino al parco gioca con una bambola nel passeggino: cambia il pannolino, dà il biberon, la abbraccia se piange. Un signore seduto accanto a lui gli chiede come mai lui, maschietto, stia giocando con una bambola a fare la mamma, che è un “gioco da femmina”. Il bambino, candidamente, gli risponde che lui non sta giocando a fare la mamma, ma a fare il papà. Ecco, i bambini e le bambine non nascono intrisi di stereotipi, vengono “istruiti” e condizionati culturalmente da modelli familiari, parentali, sociali che li/le imprigionano in quei ruoli, come se fossero gli unici possibili.

La funzione degli educatori, delle educatrici, delle/degli insegnanti, dei genitori, è tutto in questo ribaltamento di prospettiva. Educare alla parità significa educare alla libertà, cominciando dalle cose più semplici. Anche semplicemente dal linguaggio di ogni giorno.

 

*Corto girato dalla scuola di cinema per ragazzi genovese ZuccherArte, scritto e diretto da Marco Di Gerlando e Ludovica Gibelli, con Alberto Beniscelli, Ludovica Gibelli e Mauro Pirovano

 

Per ulteriori approfondimenti sul mondo dell’infanzia e dell’adolescenza consulta il blog di Save the Children