La donna che ha partorito si definisce puerpera e i 40 giorni successivi al parto, durante i quali la donna e la coppia ritrovano un loro equilibrio nelle nuove vesti genitoriali, sono chiamati puerperio. Si tratta di un momento estremamente delicato, sia da un punto di vista fisico che emotivo: innanzitutto, il corpo della donna che ha partorito deve recuperare, specie se la nascita ha lasciato delle cicatrici, fisiche, psicologiche o entrambe; la donna deve scoprire e costruire le sue competenze di madre nel nutrire, crescere e prendersi cura del suo bambino/a e si deve porre in relazione con lui o con lei, imparando a conoscerne i bisogni, i tempi, il temperamento. Mamma e bambino/a, dunque, necessitano di uno spazio personale e sociale per conoscersi e nutrire la loro relazione, in un contesto protetto e consapevole. Ma i sevizi territoriali e più in generale la comunità di riferimento come possono sostenere questo momento? Marialaura Simone, ostetrica de Il Melograno, associazione partner di Save the Children nelle attività di Fiocchi in Ospedale Bari ci aiuta a capire come accompagnare le famiglie durante il puerperio.
La nostra cultura del “nascere” porta in sé un grande “cortocircuito”, che condiziona anche l’organizzazione dei servizi territoriali, soprattutto quelli sanitari: mentre la donna durante la gravidanza è al centro di attenzioni familiari, sociali e sanitarie, lo stesso non si può dire della donna che ha appena partorito. Per quanto la letteratura e le linee guida in materia raccomandino una speciale attenzione a questa fase, manca una visione della continuità del processo nascita, della transizione tra il pre e il post partum. All’improvviso, la donna che ha partorito smette di nutrire l’interesse di chi le è intorno, e tutte le attenzioni vengono, più o meno giustamente, catalizzate dalla piccola persona appena nata.
Ma chi si prende cura della mamma e, di conseguenza, anche del papà?
Il puerperio è il “periodo lento” durante il quale la neo mamma deve darsi tempo per stare bene e far stare bene il suo bambino/a, e deve essere quindi opportunamente supportata e sostenuta; prendersi cura della neomamma significa prendersi cura di lei come donna, del neonato/a, del neo papà e della famiglia tutta, e questo significa creare salute nel breve, medio e lungo termine.
Generalmente, il puerperio è seguito in modo diretto solo nei suoi primi 2 giorni, ovvero i 2 giorni di ricovero in ospedale. Subito dopo, la mamma rientra a casa ed è sola, a volte sprovvista anche di riferimenti da poter contattare in caso di necessità. Invece è proprio nei giorni del rientro a casa che la condizione della neo mamma è più fragile. Infatti, è proprio in quel periodo che potrebbe aver bisogno di aiuto nella gestione della casa e degli spazi, nell’avvio e/o nel proseguimento dell’allattamento, nella cura del corpo e delle cicatrici; e questi aiuti, quasi sempre, deve reperirli da sola, spesso non sapendo neppure a quali figure professionali rivolgersi.
Questa incertezza fa sì che la mamma, il più delle volte, non chieda aiuto o assistenza, trascuri il proprio benessere e non si dia tempo per riprendersi. Questa situazione assume un’eco ancor maggiore quando ci si trova in presenza di nuclei familiari con fragilità (sociali/sanitarie/psicologiche/economiche…), i quali, per fronteggiare le sfide e le difficoltà della genitorialità, non possono far conto neppure su servizi a pagamento o reti familiari ben strutturate e disponibili.
Il sostegno dei servizi territoriali e della comunità
In questo scenario, è giusto e doveroso chiedersi che cosa possiamo fare noi, come professionisti, come servizi e come comunità, per quella mamma e per quella famiglia. In primo luogo, ci viene in aiuto un’azione di sostegno molto importante, e cioè l’home visiting, ovvero il recarsi fisicamente a casa della famiglia, da soli o in equipe, in tempi e modi a lei consoni, che la facciano sentire supportata e non controllata, per conoscerla, instaurare una relazione con lei, comprenderne i bisogni, capire come e quando intervenire per garantirle il sostegno di cui ha necessità. Questa azione può essere attivata già poco dopo il primo contatto con il nucleo, sin dalla gravidanza, per porre in anticipo le basi di una relazione di fiducia tra le parti e investire subito, in termini di salute, su tutto il percorso genitoriale, creando così un filo conduttore tra gravidanza e post parto, rafforzando il continuum tra endo ed esogestazione e colmando il vuoto assistenziale a cui spesso vanno incontro le mamme al rientro a casa.
L’attività di home visiting è utile per “rilanciare” le donne e le famiglie sul territorio e avviare (o rafforzare, laddove già presente) la presa in carico da parte dei servizi territoriali, nonché per garantire alle mamme occasioni di socializzazione e supporto alla pari, attraverso la partecipazione ad attività e laboratori specifici (massaggio infantile, cerchi di mamme, incontri informativi…).
Un intervento assistenziale di questo genere aiuta la donna a sentirsi più indipendente, le garantisce maggiore sicurezza e fiducia nelle sue competenze di accudimento e di ascolto del neonato/a e, non meno importante, aiuta il papà a riconoscere e riscoprire il suo ruolo e a viverlo con più gioia e serenità. Assicura infine al neonato/a cure e attenzioni prossimali più serene e nutrienti
Potremmo immaginare l’home visiting come un ponte che aiuta le mamme a uscire dall’isolamento della propria casa e a integrarsi in un contesto di socializzazione tra pari, attivando quanti più attori possibili sul territorio, ricordandoci del vecchio adagio africano secondo il quale “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”.
Per ulteriori approfondimenti sui diritti dei bambini e delle bambine, di ragazzi e ragazze consultate il blog di Save the Children