Per tutelare i diritti delle bambine e dei bambini servono allenamento, creatività, fatica, rispetto delle liturgie istituzionali, flessibilità, risorse e soprattutto tanta pazienza.
Se si pensa che di fronte a un problema, a volte anche a un problema grave che colpisce una bambina o un bambino, magicamente si attivi una rete di protezione intorno alla famiglia, si mobilitino persone, si trovino le soluzioni più giuste, ci si affanni per procedere rapidamente…Ecco se si pensa questo, si è molto lontani dalla realtà. La realtà è fatta di recinti rigidi di competenze e prerogative, di sguardi bassi sulla propria routine, e di ripetizione a ciclo continuo di procedure consolidate. È più probabile che qualcuno dica “non è mia competenza” piuttosto che “mi ci faccia pensare un momento che troviamo una soluzione!”.
Non si tratta di singole mancanze o di persone che si comportano male, ma piuttosto di un sistema inerte, che non opera in una logica di tutela dei diritti, ma di erogazione di una prestazione. Ogni prestazione una tacca. A fine giornata conti le tacche e non i cambiamenti che hai prodotto nella vita delle persone.
La storia che segue viene da Napoli. Ma potrebbe venire da qualunque altra città d’Italia. È una storia che ha per protagonista una famiglia, una bambina molto piccola con un problema molto serio, e le operatrici del progetto Fiocchi in Ospedale di Save the Children e Pianoterra, che si sono impegnate intensamente e caparbiamente, perché i diritti di quella bimba fossero tutelati. E per farlo, non si sono inventate nulla, non hanno messo in campo risorse finanziarie ingenti. Hanno semplicemente unito i pezzi, cercato e trovato le soluzioni già previste e già potenzialmente fruibili. Che però nessuno aveva avuto la pazienza di cercare e di trovare.
Costruire la fiducia delle persone nel sistema significa scovare le soluzioni, e farlo insieme – aziende pubbliche, progetti, servizi – alzando gli occhi dal proprio compitino, trovando il tempo e le risorse per collaborare, per fare ciascuno un pezzo, per uscire dalla propria zona di sicurezza. E percorrere quella strada, forse più difficile, ma senz’altro più efficace, che qualcuno chiama rete.
La storia di Princess
Princess è nata alla fine di luglio 2024, alla 36ª settimana e 6 giorni di gravidanza. Fin dai primi istanti di vita, la sua storia si intreccia con la complessità e la fragilità: per una sospetta cardiopatia rilevata in gravidanza, viene subito accolta in Terapia Intensiva Neonatale, dove resta circa una settimana prima di poter tornare a casa, accolta dai genitori e dalla sorellina di due anni e mezzo.
Per mamma Favour e papà Joseph, l’arrivo di Princess rappresenta una rinascita. Solo pochi anni prima avevano vissuto il dolore immenso della perdita del loro primo figlio, morto a quasi tre anni.
Nei primi giorni, Princess viene alimentata con latte materno e formula. Ma qualcosa non va: vomito, diarrea ricorrente, difficoltà respiratorie. Nei primi mesi di vita, la bambina viene portata più volte — anche di notte — al pronto soccorso. Solo a settembre, durante un nuovo ricovero, i pediatri riescono finalmente a dare un nome a ciò che sta succedendo: una grave allergia alle proteine del latte vaccino.
Princess viene dimessa con la prescrizione di un latte speciale a formula aminoacida, indispensabile per la sua salute. Il documento di dimissione è chiaro: “l’assunzione di latte non speciale può provocare gravi episodi di diarrea, con rischio di disidratazione e acidosi.” Ma c’è un ostacolo: quel latte ha un costo elevato, circa 60 euro a confezione per tre giorni di copertura, una spesa insostenibile per la famiglia.
È in questo momento che il servizio sociale ospedaliero invia la famiglia allo sportello Fiocchi in Ospedale, segnalando la complessità della situazione: la salute fragile di Princess, il disorientamento dei genitori rispetto ai servizi del territorio, le difficoltà economiche. Prima ancora dell’incontro, l’assistente sociale del territorio — che segue la famiglia anche per la richiesta dell’assegno di inclusione — ci contatta per condividere l’idea di un sostegno alla genitorialità, vista la condizione di vulnerabilità sanitaria e sociale.
Il primo incontro con Favour e la piccola Princess è intenso. La mamma ci mostra una cartella medica fitta di documenti: numerosi accessi al pronto soccorso, ricoveri frequenti, anche a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Quando le chiediamo perché non si fosse rivolta prima alla pediatra, Favour ci risponde con parole semplici ma cariche di peso: ha paura per la sua bambina. È difficile riuscire a contattare la pediatra, ma è soprattutto il vissuto della perdita del primo figlio a generare ansia e insicurezza.
Con l’assistente sociale proviamo a mettere ordine tra i tanti documenti sul tavolo e decidiamo di partire da un’azione concreta: fornire il latte speciale necessario per la sopravvivenza di Princess. Nel frattempo, attiviamo un accompagnamento ai servizi socio-sanitari e proponiamo l’inserimento di Favour in un corso di italiano tramite lo Spazio Mamme di Napoli centro. Lei comprende l’italiano, ma fatica a esprimersi, e desidera con determinazione imparare: sa che dalla sua autonomia nell’esprimersi passa il benessere delle sue figlie e della sua famiglia.
Grazie alle doti di cura garantiamo intanto alla famiglia la fornitura del latte. Contemporaneamente, iniziamo a tessere la rete: ci interfacciamo con il reparto di pediatria dell’ospedale per valutare se esistano formule alternative, meno costose ma efficaci; l’assistente sociale contatta la pediatra per chiarire se il latte possa essere prescritto e coperto dal Servizio Sanitario Nazionale.
Ma il tempo passa e dal territorio non arriva alcuna risposta. Dopo settimane di telefonate e attese, decidiamo di scrivere direttamente al distretto sanitario della ASL Napoli 1. La svolta arriva in meno di 48 ore: ci contatta telefonicamente il responsabile dell’unità NAD – Nutrizione Artificiale Domiciliare, che ci conferma che Princess ha diritto alla fornitura gratuita del latte, essendo un presidio medico. Basta recarsi con la documentazione alla farmacia distrettuale. Prima di chiudere la telefonata, il funzionario si dice sorpreso: nessuno tra reparto e servizio sociale ospedaliero aveva informato i genitori della procedura per ottenere il latte gratuitamente.
Oggi, Favour si reca ogni mese alla farmacia distrettuale per ritirare le confezioni necessarie. Princess, nel frattempo, ha anche affrontato un delicato intervento per l’inserimento di un pacemaker. La mamma dice di sentirsi finalmente più fiduciosa, più serena: sa di non essere più sola nel prendersi cura della sua bambina, e di poter contare su una rete che esiste, ascolta e agisce.
Per maggiori approfondimenti sui diritti di bambini e bambine e sulla genitorialità responsiva consulta il sito di Save the Children.