Secondo i dati della Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati (SISAC), al 1° gennaio 2022, quasi il 17% della popolazione di età compresa tra 6 e 13 anni è già assegnata ad un Medico di medicina generale, in parte perché la legge lo consente e in parte perché in alcune Regioni c’è un’oggettiva carenza di Pediatri di libera scelta.  Inoltre, negli ospedali, il progressivo ridursi degli organici e delle competenze specialistiche pediatriche costringe bambine, bambini e adolescenti ad un sempre più frequente riferimento agli specialisti dell’area medica dell’adulto. Ancora, un gran numero di pediatri e pediatre è costretto a ricorrere a deroghe per il superamento dei massimali a causa della carenza di pediatri di libera scelta sul territorio, il che rende problematica la costruzione di una relazione strutturata e di fiducia con i pazienti. Infine, dall’esperienza dei programmi di Save the Children sulla prima infanzia, si è verificato come siano numerose le famiglie alle quali non si riesce ad assegnare un pediatra di libera scelta, e come questo aggravi il fenomeno degli accesi impropri in pronto soccorso. Tutto questo fa pensare che in Italia l’accesso alle cure primarie per bambini e bambine non sia scontato e che sia necessario ridisegnare le cure per l’infanzia e l’adolescenza sempre più in un’ottica di continuità della presa in carico e di integrazione tra i servizi sociosanitari dei territori. Ma come favorire questo processo? Ci aiuta ad analizzare i possibili scenari, Claudio Mangialavori, pediatra dell’ambulatorio di pediatria di gruppo “Il Piccolo Principe” di Modena e membro dell’Associazione Culturale Pediatri.  

 

  • Qual è, dal suo osservatorio, lo stato di salute della pediatria di base in Italia? Il quadro è davvero così preoccupante come raccontano i dati?  

Il quadro che preoccupa è ben più ampio della sola pediatria, e riguarda tutto il Sistema Sanitario Nazionale, al punto che la tutela stessa della Salute, intesa come diritto costituzionale del singolo ed interesse della collettività sembra messa in discussione. In questo contesto, certamente la Pediatria tutta, ed in modo particolare la Pediatria del Territorio, la “Ceneretola” del Sistema Sanitario, non gode di ottima salute. Direi che al suo capezzale, da tempo, si siano seduti in molti. Con una nota polemica vorrei ricordare che già più di una decina di anni fa un Assessore alla Salute della mia Regione, l’Emilia-Romagna dei primati positivi, definiva la Pediatria di Base (termine che considero obsoleto e per nulla rispondente al ruolo che essa svolge all’interno dei Servizi delle Cure Primarie) “un lusso che il SSN non si può permettere”; un lusso che tuttavia pone l’Italia tra i paesi con i migliori indicatori di salute infantile. Non posso in alcun modo sostenere che questa visione sia diventata patrimonio comune di altri amministratori della Cosa Pubblica, ma è innegabile che le Politiche a favore dell’Infanzia e di tutta l’Età dello Sviluppo stentino a decollare e che a tutt’oggi non si veda, né a livello nazionale né tantomeno a livello delle Amministrazioni Regionali, un progetto organico, una visione d’insieme a tutela dell’Infanzia e dell’Adolescenza con strategie ed azioni a medio e lungo termine. Manca una cultura sanitaria dell’Età dello Sviluppo.

A riprova di questo, è significativo che nel DM 77/22, che dovrebbe ridisegnare le politiche di assistenza sanitaria territoriale post COVID, non si faccia alcun riferimento al ruolo della Pediatria del Territorio all’interno delle Cure Primarie, né, tanto meno, alla sua riorganizzazione. Il modello di riferimento resta unicamente la Medicina dell’adulto. Ma ciò che nella programmazione sanitaria risponde alle esigenze di un quarantenne o di un anziano, non è detto che sia efficace per un bambino o per un adolescente. L’Età dello Sviluppo ha peculiarità uniche che necessitano di uno sguardo integrato e diacronico; è il tempo della crescita!

La mancanza di Pediatre di Famiglia (il femminile inclusivo è d’obbligo, poiché la Pediatre sono di gran lunga più numerose dei Pediatri), che incide in modo differente nelle diverse regioni, è il frutto di una mancanza di cultura dell’Età dello Sviluppo, e di conseguenti scelte miopi sulla programmazione sanitaria e la formazione di specialisti, ma è anche responsabilità di politiche sindacali non adeguate, attente alla salvaguardia dell’esistente e poco capaci di previsioni a lungo termine.

I prossimi anni vedranno il pensionamento di molte Pediatre di Famiglia ed il ricambio generazionale sarà lento; dopo 25 anni di drastiche riduzioni di borse di studio, soltanto negli ultimi 5 anni è aumentato in modo significativo il numero di Medici in Formazione Specialistica in Pediatria, un incremento che però da solo non sembra poter colmare, almeno nel breve tempo, la carenza di Pediatre ospedaliere e territoriali.

Tuttavia, credo sia proprio questo il tempo opportuno per disegnare un modello di riorganizzazione della Pediatria del Territorio incentrata sul lavoro di équipe multiprofessionali, capaci di integrarsi con una rete sociosanitaria-educativa di servizi territoriali e nelle quali sia possibile la presa in carico dei bisogni di salute di un maggior numero di bambini.

 

  • Quali sono i principali fattori che rendono ancora difficile l’esercizio del pieno diritto di accesso di bambine e bambini alle cure pediatriche, nel nostro Paese?  

L’argomento è complesso perché molti sono i fattori che incidono e si può facilmente incorrere nella banalizzazione. Sicuramente il numero inadeguato di Pediatre può sembrare il problema centrale, ma lo riterrei un epifenomeno di altre cause. Come si è detto, viviamo oggi l’onda lunga di politiche sbagliate di programmazione sanitaria che incidono sia sul versante ospedaliero che su quello territoriale e l’investimento economico sul personale è la priorità.  

Tuttavia, altri fattori, oltre a quello economico, incidono, soprattutto ma non solo, nell’ambito delle Cure Primarie. L’incerta definizione della fascia di età di competenza assistenziale pediatrica incide sia sul diritto e sulla qualità di cura – ad esempio della fascia adolescenziale -, sia sulla possibilità di assegnazione di zone carenti in un territorio e quindi della presenza della Pediatra di Famiglia.

Attualmente, sul Territorio, esiste l’obbligo di assistenza pediatrica per la fascia 0-6 anni, mentre fino ai 14 anni i bambini possono essere affidati alle cure delle pediatre di famiglia oppure dei medici di medicina generale; questo limite viene esteso ai 16 anni in caso di patologie croniche. Negli Ospedali, invece, il confine è ancora più labile e variabile, da Ospedale ad Ospedale, da Territorio a Territorio e da patologia a patologia; il limite massimo di età oscilla dai 14 anni ai 16 anni, esteso ai 18 anni solitamente per le sole (tante!) patologie croniche. Ancora differente è la competenza per età negli interventi in ambito neuropsichiatrico. In questo modo, tutta la fascia adolescenziale, periodo fortemente inserito in quella che abbiamo definito “Età dello Sviluppo”, resta fuori dal “Progetto di Salute Infanzia” che trova nel Bilanci di Salute il cardine portante della prevenzione e promozione della Salute, svolti dalla Pediatria del Territorio. È sotto gli occhi di tutti l’urgenza sanitaria, troppo spesso sottostimata, nell’età adolescenziale, soprattutto per gli aspetti di prevenzione e cura delle patologie psichiatriche e delle cronicità. Gli approcci di presa in carico dei bisogni di salute della Pediatria del Territorio meglio si adattano, per continuità di cura e strategie di intervento, alle esigenze dell’età adolescenziale.  È quindi evidente la necessità di estendere l’assistenza pediatrica alla fascia 0-18 anni sia in ambito ospedaliero che territoriale, come peraltro già dichiarato nel Piano d’Azione Nazionale per l’Attuazione della Garanzia Infanzia (PANGI 2022) del Ministero del Lavoro, e l’estensione dell’obbligo assistenziale della Pediatra di Famiglia fino ai 14 anni. Da questa “semplice” (ma politicamente scomoda!) azione deriva la possibilità di costruzione di percorsi assistenziali ospedale-territorio e territorio-territorio virtuosi, in risposta al “diritto di salute” di bambine e bambini, ed una migliore programmazione territoriale. Sarebbe, inoltre, possibile una ridefinizione delle zone carenti territoriali calcolate su una popolazione più ampia (non 0-6 anni ma 0-14 anni), con un minor rischio di sovrastimare e sottostimare il dato, facilitando così la presenza di PdF anche nei territori a bassa densità di popolazione o con svantaggio orografico.

Il “paradosso” del maggior numero degli assistibili e dello scarso numero di Pediatre trova risposta nella riorganizzazione di modelli assistenziali che superino la figura obsoleta (ma ancora maggiormente diffusa) della “singolo Pediatra” nel “singolo ambulatorio” che gestisce in modo autoreferenziale i “suoi” bambini/e, a favore di ambulatori organizzati con team multiprofessionali e multidisciplinari, capaci di dialogo, progettazione comune e definizione di funzioni specifiche ed integrate che permettano una più efficiente gestione dei bisogni di cura e l’ampliamento del massimale di assistibili per singola Pediatra (anche fino a 1000-1300 pazienti). Si avrebbe quindi un’immissione di nuovi e giovani Pediatri ed al contempo un aumento del carico di assistiti sostenuto da un’organizzazione multiprofessionale integrata; inoltre, la possibilità dell’ampliamento del massimale permetterebbe di rispondere al non sempre prevedibile reale bisogno assistenziale di un territorio.

Un’altra importante criticità che va ad incidere sul diritto alla cura di bambini e bambine è la quasi assenza di reti sociosanitarie-educative. I bisogni di salute, e non solo delle fasce più deboli, sono sempre più complessi, non solo perché nel tempo è cambiato, arricchendosi, il concetto di “salute”, ma anche perché il nostro quotidiano è diventato più complesso; sono necessarie quindi strategie ed azioni integrate che cerchino risposte mai definitive ai bisogni della collettività e dei singoli.  L’approccio efficace può essere soltanto di tipo ecologico, cercando di interagire con i/le minori e le loro famiglie nei loro luoghi di aggregazione e vita quotidiani. Le riorganizzazioni multiprofessionali delle Pediatrie Territoriali sono una condizione indispensabile per predisporre le Pediatre ad una visione integrata e collaborativa, ma nulla possono senza un impegno collettivo di progettazione a tutti i livelli, locale, regionale e nazionale. Anche questa criticità deve trovare risposte efficaci, almeno di indirizzo e di risorse, nella Politica.

Cito soltanto due ultimi fattori, che da soli meriterebbero una trattazione articolata.  Il buon esito, i buoni “outcome”, come si è soliti dire, non dipendono soltanto dall’offerta ma anche da come l’utenza è capace di interfacciarsi e fruire dei servizi. Il tema della “educazione all’accesso ed all’utilizzo dei servizi”, che potremmo inserire nel più ampio tema della Health Literacy, è un aspetto fondamentale che merita un’attenta riflessione, una progettazione di interventi ed una frequente rivalutazione degli outcome. Gli accessi impropri, soprattutto nei servizi di Cure Primarie e nei Pronto Soccorsi, sono talmente alti da incidere sulla capacità di risposta alle reali esigenze. Vanno progettate azioni che favoriscano dell’empowerment genitoriale, promuovano la capacità di “cura” domestica ed educhino la popolazione ad una visione “sociale” del sistema sanitario. Questo prevede, ancora una volta, scelte coraggiose da parte delle Amministrazioni Locali, sulla quali costruire interventi strutturati di educazione alla Salute all’interno degli ambulatori territoriali e della Rete dei Servizi integrata, capaci di indirizzare e calibrare l’offerta e la fruizione della valutazione del rischio di salute.

L’ultimo fattore riguarda la formazione dei Medici in Formazione Specialistica. Sebbene sia prevista dal core curriculum una formazione specifica in Pediatria del Territorio, la maggior parte delle Scuole di Specialità, grazie anche alla relativa autonomia di cui dispongono, spesso disattendono questo importante aspetto nella preparazione dei futuri pediatri e pediatre. Inoltre, in nessuna scuola di specialità viene dedicato un percorso formativo sul lavoro in équipe (utile, anzi indispensabile anche in Ospedale). Credo che entrambi gli argomenti abbiano sufficiente dignità per meritare l’attenzione dovuta e per trovare spazio nell’arricchimento del bagaglio culturale e lavorativo dei prossimi Pediatri.

 

  • Come si legge anche nel documento redatto qualche anno fa da CSB ed ACP, “Senza Confini”, per garantire risposte efficaci ed efficienti alla maggior parte dei problemi di salute sono necessari servizi multiprofessionali, coordinati, in grado di fornire prestazioni 12h/24 con reperibilità nei fine settimana. Per favorire questo processo nell’ambito della pediatria di base, si dovrebbe puntare alla pediatria di gruppo. Cosa intendiamo con questa definizione e quali i provvedimenti necessari per diffondere questo modello?  

La Pediatria di Gruppo (PdG) è una forma associativa della Pediatria del Territorio, normata negli Accordi Collettivi Nazionali (ACN) fin dal 1996, nella quale “due o più Pediatre di Famiglia” su base volontaria e paritaria, organizzano il proprio lavoro all’interno di una sede unica nella quale ogni Pediatra assiste i propri pazienti, ma si rende anche disponibile a prendersi cura degli assisti del/i collega/ghi in caso di assenza. I Pediatri/e del gruppo possono usufruire della collaborazione di personale infermieristico e/o personale di studio. Poiché queste forme associative nascono con l’intento di migliorare la fruibilità del servizio pediatrico, l’ambulatorio unico deve garantire l’apertura per almeno 5 ore giornaliere, distribuite fra mattino e pomeriggio, con chiusura serale non prima delle 19,00.

Il documento “Senza Confini”, anticipando i tempi, pur facendo riferimento alla forma associativa della PdG, sottolineava la necessità di pensare modelli organizzativi funzionali appropriati per l’integrazione delle Cure Primarie nelle Case della Salute ed evidenziava l’importanza di portare a sistema il modello della PdG, “evitando formule annacquate o fittizie”, ben consapevole dei limiti e delle potenzialità di questa forma organizzativa.

Alla luce del DM 77/22, che ridefinisce modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale, l’ Associazione Culturale dei Pediatri ha elaborato una proposta di modello organizzativo delle Cure Pediatriche – che ha presentato lo scorso novembre all’ultimo Congresso Nazionale Congiunto ACP-ECPCP – dettagliando le funzioni e le strategie integrative della Pediatria del Territorio, valorizzando e ridefinendo il modello della Pediatria di Gruppo come risposta alle necessità di prossimità della cura. Va superata la visione “medico-centrica” della PdG classica a favore di un modello che metta al centro l’équipe multiprofessionale paritaria, costituita da Pediatra, Infermiera di Famiglia con formazione specifica in ambito pediatrico e Segretaria clinica. Attorno a questo nucleo operativo si struttura la PEDIATRIA DI GRUPPO INTEGRATA (PdGI), un modello a costituzione volontaria, autorganizzato con autonomia gestionale tecnico-assistenziale e funzionale, gestita come una “rete orizzontale”, il cui nucleo è rappresentato dall’équipe multiprofessionale che condivide la sede principale di presenza sul territorio, compresa funzionalmente e/o logisticamente nella Casa di Comunità (CdC). L’Équipe multiprofessionale ha in carico, in modo paritario, l’attività ambulatoriale sia preventiva che clinico-diagnostica, con funzioni specifiche per ciascuna professionalità, progettate, decise e rivalutate nel tempo dall’équipe stessa. Queste competenze si ampliano e contaminano nel tempo, grazie proprio alla condivisione quotidiana, alla formazione interna ed a momenti strutturati di incontri di équipe. Non posso entrare nello specifico delle funzioni della PdGI, ma questo modello garantisce una reperibilità, apertura dell’ambulatorio e presenza di un Pediatra e un’infermiera H12 5 giorni su 6, l’accesso su appuntamento dopo Triage telefonico. Oltre alla normale attività ambulatoriale, è previsto un ambulatorio infermieristico per la gestione della piccola patologia e per le medicazioni, la presa in carico precoce del neonato e della famiglia (entro i 7 giorni dalla nascita) ed il servizio di Home visiting universale, incontri a piccoli gruppi di promozione della salute. La segreteria clinica, tra i vari servizi, organizza gli appuntamenti, gestisce il front office ed attua un servizio di chiamata attiva per le visite di bilancio programmate e per i controlli delle patologie croniche. L’utenza pediatrica che afferisce alla PdGI è quella identificata nella popolazione di riferimento della Casa di COunità nel quale il gruppo è “incardinato”. Questo permette la costruzione di percorsi assistenziali integrati con gli specialisti ed i servizi della CdC per la popolazione specifica di quel territorio.

 

  • Infine, una domanda sui fondi PNRR. In che misura il modello dell’assistenza territoriale del PNRR interesserà la pediatria di base?  

Questo credo sia il punto dolente. Non ci sono allo stato attuale al livello centrale, e direi a mia conoscenza nemmeno regionale, progetti o finanziamenti destinati all’implementazione del Servizio Territoriale Pediatrico. Come si diceva, lo stesso DM 77/22 non fa mai menzione di interventi in ambito Pediatrico. Inoltre, va detto che il Governo Nazionale sta procedendo ad una revisione del PNRR, che influenzerà anche i finanziamenti destinati alla realizzazione di presidi territoriali. Il piano di revisione presentato dal Governo riduce, a livello nazionale, da 1.350 a 936 le Case di Comunità e da 400 a 304 gli ospedali di comunità. Dunque, 510 progetti sembrerebbero non più realizzabili.

Qui potrebbe fermarsi la mia risposta: un’amara analisi. Ma voglio sperare che si trovino le strade per porre all’attenzione della Politica la necessità della realizzazione, nel sistema Hub-Spoke delle CdC, degli Spoke Pediatrici, luoghi dove, come dicevo, sarebbe possibile una territorializzazione ed un’integrazione dei Servizi di Area Pediatria, realizzando quella prossimità della Cura tanto dichiarata nelle intenzioni.

Lo Spoke Pediatrico è un luogo fisico nel quale, a fianco dell’assistenza primaria svolta dalla PdGI , è possibile esternalizzare, ad esempio, il follow-up delle più comuni patologie croniche, rendendo così disponibili negli ambulatori ospedalieri posti per le prime diagnosi. È possibile l’integrazione degli specialisti territoriali di area pediatrica, permettendo così un diretto confronto tra Pediatra inviante e specialista e favorendo in questo modo la condivisione di saperi e di percorsi diagnostico-terapeutici, con una diretta ricaduta sull’appropriatezza degli invii specialistici e sull’appropriatezza prescrittiva. Sarebbe inoltre possibile organizzare percorsi di screening gestiti dal personale infermieristico della PdGI che si gioverebbero della presenza degli specialistici per un rapido consulto e per l’invio precoce di sospetti diagnostici. Ancora, invece della realizzazione di Ospedali di Comunità, poco utili in ambito pediatrico, si potrebbero organizza un OBI Territoriale, riducendo in tal modo l’invio improprio in Pronto Soccorso dei codici bianchi e verdi. Tutti questi “nuovi servizi territoriali” necessiterebbero di un Point of Care, della possibilità cioè di effettuare esami diagnostici e strumentali (Ecografia clinica, ECG, etc), e conseguentemente l’attivazione dei servizi primari di Telemedicina. Ancora, come previsto dagli standard minimi della CdC Spoke, si potrebbe realizzare l’assistenza territoriale H12 5 giorni su 6, con un Servizio di Reperibilità prefestivo indirizzato ai pazienti afferenti alla PdGI, con possibilità quindi di continuità di cura ed educazione continua alla gestione della patologia ed all’autocura. Tutti questi interventi, ed altri ancora, avrebbero un’importante incidenza sulla qualità dei servizi erogati, rendendo reale il concetto di “prossimità di Cura”; favorirebbero una riduzione degli accessi impropri ospedalieri, favorendo la riorganizzazione ospedaliera verso la gestione dei “secondi e terzi livelli”, ma soprattutto avrebbe un impatto significativo sul controllo della spesa sanitaria.

 

Per maggiori informazioni sui diritti dei bambini e delle bambine visita il blog di Save the Children Italia