Quando parliamo di diritto alla salute per le future e neomamme e per i loro bambini dobbiamo richiamare quanto definito dall’Organizzazione mondiale della Sanità, che definisce la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non semplice assenza di malattia o infermità”.

 

Ne parliamo con Nicoletta Princigalli dell’Associazione “Lo Scrigno”, partner della Rete ZeroSei, attiva nel supporto alle future e neo-mamme e non solo.

 

Il diritto alla salute
Il diritto alla salute, enunciato all’articolo 32 della nostra Carta Costituzionale, recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”.

Garantire il diritto alla salute vuol dire estendere la medesima tutela al diritto all’integrità fisica, il diritto a curarsi e il diritto a non curarsi e si accompagna, inevitabilmente, con il diritto all’autodeterminazione, secondo il quale il singolo tutela la sua salute come espressione della propria individualità ed autonomia, comportando ciò un’assenza di supremazia da parte del medico, ma un perfetto connubio tra le due autonomie.

L’unione delle competenze è ancor più evidente in ambito ostetrico, nel quale la donna può e deve fare ricorso alle proprie conoscenze innate, affinché le stesse, in abbinamento a quelle del medico, le consentano di vivere una buona esperienza di parto.

Reduci da un’epoca di eccessiva medicalizzazione dell’evento nascita, è importante fare ricorso al prezioso pensiero di Fréderick Leboyer, che ha posto l’accento sull’importanza di rendere partecipe la donna e sulla necessità di rispettare i tempi del bambino.

 

Dal parto alla relazione con il mondo
Dalla esperienza di parto e di nascita che un individuo vive, dipenderà molto del suo relazionarsi con il mondo.

È fondamentale e necessario che la donna sperimenti la propria potenza, vivendo attivamente il dare alla luce il proprio bambino ed è altresì imprescindibile che questi si affacci alla vita con i tempi e le modalità che lui stesso deciderà.

Il parto è il momento in cui l’essere umano sperimenta per la prima volta il contatto con i suoi simili, un imprinting fatto di rispetto e attenzione getterà le basi per una modalità emotiva all’insegna della serenità.

Come qualunque altro paziente, la gestante che giunge in una struttura sanitaria, deve prestare il consenso informato per ogni singolo trattamento che le venga proposto.

I trattamenti sanitari così detti di routine, sono contra legem, ossia è necessario che la donna venga preventivamente ed adeguatamente informata, anche sulla eventuale alternativa terapeutica, e che presti per iscritto ed esente da vizi il proprio consenso.

La cartella clinica è un atto pubblico e, come tale, deve essere completa e leggibile e va costantemente aggiornata, la sua alterazione, incompletezza o altro difetto costituiscono reato perseguibile per legge. Durante la degenza ne è responsabile il primario, dopo le dimissioni ne è responsabile il direttore sanitario. Ai sensi della legge sul diritto di accesso agli atti, dietro esplicita richiesta dell’avente diritto, la cartella deve essere rilasciata entro 30 giorni dalla richiesta stessa.

 

Il piano del parto: che cos’è e come rispettarlo
Affinché si stabilisca un rapporto di collaborazione e di dialogo con la struttura che accoglierà la partoriente, è possibile presentare il piano del parto.

Si tratta di un documento, in Italia non vincolante, attraverso il quale la donna chiede che vengano rispettati i propri diritti e che vengano, altresì, messe in pratica le 15 raccomandazioni OMS.

La futura mamma chiede, ad esempio, di poter assumere la posizione a lei più congeniale durante il travaglio; di poter bere e mangiare; di poter avere accanto una persona di sua fiducia (spesso il futuro papà) che la supporti; o ancora di poter avere con sé il bambino immediatamente dopo la nascita e di poterlo subito allattare al seno; così come di non approvare che al bambino vengano somministrati sostituti del latte o altre bevande.

Di fatto, con questo documento, la donna non chiede nulla di diverso da quanto stabilito dall’OMS a tutela della salute di mamma e bambino.

Non è, per il nostro ordinamento giuridico, un documento che le strutture sanitarie sono obbligate ad accettare, ma è un modo per stabilire un dialogo.

Il tono deve appunto essere quello della collaborazione ed è opportuno che la donna faccia esplicitamente presente di essere consapevole del fatto che, in caso di necessità cliniche, le sue richieste potrebbero essere disattese.

La struttura che accoglierà di buon grado il piano del parto, inserendolo conseguentemente nella cartella clinica e lasciandolo così a disposizione di tutto il personale medico e paramedico, difficilmente lo disattenderà, se non per valide ragioni.

È importante, quindi, anche fare attenzione ad aspetti di questo tipo, quando si sceglie la struttura presso cui partorire, al fine di poter vivere un’esperienza di parto il più gratificante possibile.

Da quella esperienza dipenderà molto anche il successo dell’allattamento e il rapporto che la diade riuscirà a costruire nell’immediato.

Rapportarsi con una gestante adeguatamente informata faciliterà il lavoro degli operatori sanitari, che sapranno di relazionarsi con una donna desiderosa e consapevole di partecipare attivamente all’esperienza più straordinaria della propria vita.

L’adeguata mancanza di informazioni rischia di mettere la donna in una condizione di immobilità che costringe, di conseguenza, l’operatore sanitario ad assumere decisioni. Non sempre queste corrispondono ai desiderata della partoriente e possono, pertanto restituirle un senso di insoddisfazione e inadeguatezza.

L’unico modo per evitarlo è proprio quello di informarsi e di far valere i propri diritti.