I mesi passati hanno visto gli operatori dei nostri progetti davanti ad una grande sfida: reinventare il loro lavoro senza spezzare il legame con le famiglie e con i bambini.

L’impresa non è stata facile, l’isolamento casalingo difficile da gestire, l’assenza delle relazioni umane a tratti insopportabile ma nella complessità della situazione i molti limiti si sono trasformati in opportunità inattese. Opportunità per ripensarsi nella creatività e nella distanza, opportunità per rimodulare il percorso di cura dei nuclei più disagiati.

La riapertura degli spazi, lo scorso giugno, ha generato in tutti grande emozione. Oggi tutto ha un sapore diverso.

 

Ringraziamo gli operatori e le operatrici dello Spazio Mamme di Roma per la loro preziosa testimonianza, umana e professionale.

 

“A giugno scorso riapriamo lo “Spazio Mamme” e appena rientriamo fisicamente nel servizio avvertiamo un senso di disagio, è uno spazio estraneo che sembra non appartenerci.
Ci guardiamo intorno e tutto quello che abbiamo lasciato prima della chiusura per l’emergenza covid appare un po’ stonato, i disegni, i lavori incompiuti iniziati in un’atmosfera inconsapevole e leggera.

Il compito educativo – basato sull’accompagnamento e lo stimolo alla crescita – ci porta ad interrogarci prima di tutto sul come riprendere, ci sembra davvero tanto quello che c’è da restituire ai bambini dopo un tempo così ingiusto di privazione e mancanza di colore.

I lunghi mesi di attività a distanza ci hanno allenato a reinventarci ed a cercare nuove strade: ora riguadagniamo la possibilità di guardare negli occhi coloro che abitano solitamente lo Spazio Mamme e, sebbene tante cose debbano cambiare, sappiamo che finalmente lo schermo tra di noi può cadere.

E’ dalla prima riflessione che capiamo che il nostro obiettivo principale sarà tentare di restituire a grandi e piccoli un senso di appartenenza, calore, divertimento, condivisione, gioia di scoprirsi e stare insieme.

Tutto quello che possiamo mettere in campo per raggiungerlo ci sarà alleato e guidate da questo pensiero iniziamo a seminare. Organizziamo il lavoro in piccoli gruppi di cinque bambini e cinque mamme con un’educatrice di riferimento costante – per lavorare nel rispetto della massima tutela e sicurezza di tutti – e “impariamo” a guardarci negli occhi, ora più che mai filtro prezioso di scambio ed incontro.

Anche lo spazio prende nuova forma: di fronte ad alcuni angoli chiusi riscopriamo lo spazio esterno e lo coltiviamo, in ogni senso, affinché possa accogliere il desiderio gioioso di movimento e condivisione dei nostri piccoli utenti.

All’inizio c’è tanta emozione per tutti, siamo increduli ed impacciati, saper vivere a distanza di sicurezza non è qualcosa che ci è familiare.

È necessario pensare e far intervenire la razionalità ad ogni passo, tutti centrati sull’idea della massima protezione reciproca.

Poi prevale l’allegria e tutte le attività proposte diventano fuochi di artificio, sorprendenti anche per chi le ha pensate perché vengono potenziate da chi le riceve e tornano indietro riempite di vita e di calore.

Con i piccoli gruppi strutturiamo un “percorso di scoperta” fatto da diverse tappe: partiamo da un’attività espressiva che ci permette di scioglierci, di ritrovarci e di raccontarci il lungo tempo passato lontani, poi passiamo a giocare in cerchio, a leggere storie per sognare, ad immergerci nei giochi d’acqua sotto il sole estivo.

Ci sentiamo di nuovo tutti vivi, ognuno nella sua pelle ma non più prigioniero di sé.

I bambini saltano, ed è davvero una gioia vederli…noi adulti – genitori ed educatrici – ci sorprendiamo nello scoprirci ugualmente gioiosi e sfrenati.

La cosa straordinaria è che quello che inizialmente leggevamo solo come limite si trasforma in risorsa: ritrovarsi in gruppi così piccoli ci regala un clima protetto, un microcosmo dove le barriere cadono facilmente e ci si (ri)scopre.

I bambini si mostrano, è facile contattarli in tutte le loro potenzialità e fragilità: il lavoro educativo può essere affinato, si è in ascolto di tutto e di tutti, anche dei sussurri più timidi ed incerti.

L’educatrice riesce ad essere ponte quando la voce del bambino non arriva al genitore, occhi quando quelli del genitore non riescono a vedere.

Anche il mondo degli adulti è più aperto, si crea maggiore scambio tra i genitori e si apre un canale di comunicazione più profondo con l’equipe educativa.

Tali condizioni rinsaldano la base del lavoro educativo, l’alleanza genitore – educatrici e la possibilità di sostenere i genitori rispetto ad eventuali fragilità dei figli.

Il microcosmo ci rende di nuovo comunità, tutti umani, tutti grati, tutti in un cammino di crescita e consapevoli che la condivisione è un dono prezioso”.