Il lutto perinatale è una perdita molto difficile da accettare e può causare nei genitori un dolore fortissimo e difficile da superare. Un evento di questo tipo è da considerarsi un lutto a tutti gli effetti ed ha sulla vita di quei genitori un traumatico impatto.

 

Ne parliamo con Nicoletta Princigalli, che ringraziamo per il contributo, dell’Ass.ne “Lo Scrigno” – realtà attiva nel supporto alle future e neo-mamme e papà e partner della Rete ZeroSei.

 

Cosa si intende per lutto perinatale
Il primo a teorizzare il legame materno-fetale è stato Winnicott, sostenendo che già in utero si instaura un forte grado di attaccamento.
Complici gli ormoni che entrano in circolo con l’insorgere della gravidanza, la donna avverte prepotente, fin da subito, il legame con il bambino che porta in grembo, il desiderio di accudimento.
Ciò determina una proiezione da parte, non solo della mamma, ma di entrambi i genitori in quella che sarà la loro futura vita insieme al nascituro.
Tecnicamente si definisce morte perinatale la perdita di un figlio che avviene tra la 27° settimana di gravidanza e 7 giorni dopo la nascita, ma questa definizione può certamente essere estesa all’aborto spontaneo, all’interruzione terapeutica di gravidanza, alla morte endouterina di un gemello etc.

 

L’accettazione della perdita
Riuscire ad accettare la perdita è molto difficile, tanto più perché la perdita di un figlio è quanto di più innaturale un essere umano possa trovarsi ad affrontare.
L’errore che più spesso si compie è quello di sottovalutare la gravità dell’evento, minimizzare il dolore ed incoraggiare la coppia a “riprovarci”, dimenticando che quella gravidanza ha un suo ruolo ed una sua importanza nella vita di quella coppia.
Il lutto perinatale ha tutti gli aspetti drammatici del lutto, con la differenza che è “biologicamente” inaspettato e, anche per questo, inspiegabile. Durante la gravidanza tutte le energie sono convogliate verso la gestazione e la nascita del bambino, subirne la perdita risulta particolarmente difficile e doloroso.
Si spezza precocemente un legame che i genitori non erano pronti a perdere e questo può comportare senso di colpa, ricerca del perché, profonda tristezza, senso di inadeguatezza.
L’intensità della sofferenza dipende anche e soprattutto da quanto forte è il legame che si è creato con il bambino in grembo, più forte è questo legame, più difficile sarà affrontare questo dolore.

 

Come affrontare il lutto
Ciò che spesso aiuta ad affrontare un lutto è la memoria, sono i ricordi legati a quella persona cara, che in qualche modo alleviano il dolore; la mente conserva i momenti belli che fungono da balsamo quando non si ha più la possibilità di viverli. Questo, purtroppo, in caso di lutto perinatale non accade. La memoria è molto limitata, perché fatta fondamentalmente di proiezioni e quello che si potrebbe definire un meccanismo di protezione fatica ad essere messo in atto.
Quando si verifica un evento del genere, la vita e la morte avvengono nel medesimo momento e la donna potrebbe maturare la paura di non essere capace di generare, di aver fallito.
Riuscire a superare questa convinzione, riuscire a non odiarsi, può essere molto difficile. Avere qualcosa di materiale che, al tempo opportuno, costituisca la memoria materiale dell’esistenza di quel bambino può, a differenza di ciò che si crede, essere molto utile alla donna e ai genitori in generale, nel processo di metabolizzazione del lutto.

 

Il supporto genitoriale
Spesso si tende al lasciare da soli i genitori che vivono questa esperienza, per discrezione, o perché si crede che non parlarne sia la cosa migliore.
Così, in realtà, non è. Sentirsi accolti nel proprio dolore, sentirsi accuditi, compresi, accettati è fondamentale per il superamento di quello che può rivelarsi un evento dall’evoluzione difficile da gestire.
La solitudine emotiva altro non fa che acuire il dolore, con conseguenze anche gravi.
Perché quella perdita possa essere superata, rielaborata, è necessario che i genitori siano liberi di esprimere le proprie emozioni ed è altrettanto necessario che ricevano un adeguato supporto, tanto dai familiari, quanto dalle figure professionali.
È necessario che tutti coloro che sono accanto ai genitori si mettano in ascolto, osservino, accolgano, confortino, se necessario anche attraverso il contatto fisico; più di ogni altra cosa è necessario che rispettino i tempi e le emozioni di quella coppia.
Per loro quel bambino non è e non sarà sostituibile con un altro, quel bambino è il loro figlio.
È nato morto, ma è nato! Come tale quella perdita è un lutto e come qualsiasi altro lutto deve attraversare tutti gli stadi (shock, realizzazione, protesta, disorganizzazione, riorganizzazione, elaborazione), affinché quella coppia possa trovare un nuovo equilibrio.
Oggi, fortunatamente, la società ha abbattuto almeno in gran parte quel muro di indifferenza che lasciava sole le famiglie che attraversavano questa perdita.

 

Il “Babyloss Awareness Day”
Il 15 ottobre di ogni anno si celebra il “Babyloss Awareness Day”.

Si tratta di una data simbolica che unisce e rappresenta milioni di persone nel mondo che hanno vissuto la perdita di un figlio durante la gravidanza o dopo la nascita.
È stata fortemente voluta negli anni ottanta, proprio per dare conforto a questi genitori e far loro percepire la presenza di una società non più sorda al loro dolore.

Il 15 ottobre è, allora, diventata l’occasione per ricordare, celebrare, condividere, vivere e trasformare quel dolore, così immenso da essere inimmaginabile.
Dal 2007, grazie all’associazione CiaoLapo, il 15 ottobre è vissuto e sentito anche nel nostro Paese, con l’obiettivo di creare attorno ai genitori una rete sempre più efficace di supporto, che li aiuti a non sentirsi abbandonati, a non sentirsi travolti dalla sofferenza.

Dedicare una giornata alla morte perinatale è un atto di forte senso civico, di consapevolezza da parte dell’intera società, ma è estremamente importante che il sostegno ai genitori non manchi mai, è importante che chi si occupa di maternage, a qualunque livello, presti cura ed attenzione a tutte quelle mamme e quei papà che hanno perso una parte di sé.