Venire al mondo è l’esperienza più forte e, forse, destabilizzante che l’essere umano possa vivere, benché almeno consciamente non riusciamo a conservarne memoria.

Le “cure prossimali” sono delle modalità di accudimento che permettono di rispondere in maniera efficace ai bisogni del neonato.

 

Ne parliamo con Nicoletta Princigalli, che ringraziamo per il contributo, dell’Ass.ne “Lo Scrigno” – realtà attiva nel supporto alle future e neo-mamme e papà e partner della Rete ZeroSei.

 

Dal dentro al fuori. L’acquisizione dell’autonomia
Per nove mesi viviamo nel grembo della nostra mamma, avvolti dal suo calore, dal suono ovattato e rassicurante della sua voce e del suo cuore, viviamo in un ambiente protetto e accogliente e lasciarlo comporta un grande sforzo di adattamento.

Il neonato è un immaturo fisiologico. Quando nasce e per i primi successivi nove mesi, dipende completamente dalla madre, dalla principale figura di accudimento.
Ciò accade perché, con l’evolversi della specie umana ed il passaggio di questa dall’essere quadrupede all’essere bipede, il bacino della donna ha subito un restringimento e, di conseguenza, il tempo della gravidanza si è ridotto.

Il neonato, quindi, non è autonomo, non sa alimentarsi da solo, non sa raggiungere la propria mamma in autonomia, ha necessità della sua presenza per sopravvivere.

Terminato il periodo di esogestazione (nove mesi fuori dal grembo materno), il bambino sarà pronto ad esplorare da solo, ad affacciarsi al mondo con curiosità e sicurezza.

 

Come un neonato raggiunge l’autonomia
Di che cosa ha più bisogno il neonato per raggiungere serenamente l’autonomia?
Senza ombra di dubbio di amore, contatto, contenimento, certezze.
La presenza viva e tangibile dei genitori fornisce una base sicura dalla quale allontanarsi al momento opportuno, con la certezza che quella stessa base non verrà mai meno.

Un modo per costruire la base sicura e amare i propri figli, rispettando il loro sentire ed i loro bisogni è quello di fare ricorso al contenimento, all’abbraccio, al contatto fisico. I nove mesi trascorsi nel grembo sono mesi in cui il bambino avverte la protezione fisica della mamma, che passa attraverso il poter toccare le pareti dell’utero e sentirsi così contenuto. Una volta nato, quel senso di sicurezza può essere ritrovato nell’abbraccio della mamma e del papà, nel percepire con tutti i sensi la presenza fisica del genitore, perché un neonato altro non è che un cucciolo.

La nostra società ci ha, purtroppo, abituati a pensare che la maniera giusta di accudire un neonato siano le “cure distali”, il lasciarlo nella culla, piuttosto che nel passeggino; a credere che rispondere prontamente alla sua richiesta di attenzioni e di contatto sia sbagliato, perché essere presenti determina l’insorgere di un vizio.

Così non è. Il neonato non ha vizi, ma soltanto bisogni e quello dell’accudimento è il principale.

Le “cure prossimali” sono delle modalità di accudimento che permettono di rispondere in maniera efficace al bisogno di contenimento del neonato e di stabilire con lo stesso un canale di comunicazione privilegiato e fatto di amore ed attenzione.

 

Quali sono le cure prossimali e quali benefici apportano al neonato
Le cure prossimali che rispondono ai bisogni primari del neonato sono: l’allattamento al seno, il massaggio infantile, il babywearing, la lettura ad alta voce (sin dal pancione), l’apprendimento musicale.

Ognuna di esse permette al genitore di stabilire un contatto fisico, oculare, vocale ed emotivo con il bambino. Il flusso che si crea genera sicurezza nel bambino, aiuta il genitore a comprenderne meglio le esigenze, riduce gli ormoni dello stress, favorisce l’insorgere di quella base sicura che è determinante nella vita di ciascun essere umano.

  • Nel seno il bambino non trova soltanto il nutrimento materiale, ma anche e soprattutto quello emotivo. Il seno è coccola, rifugio, certezza, calore, protezione. L’allattamento è innanzitutto un rapporto d’amore.
  • Il massaggio infantile costituisce una modalità di comunicazione non violenta tra genitore e bambino. Attraverso questa pratica il genitore imparerà a leggere il linguaggio non verbale, attraverso il contatto con le mani comunicherà la propria presenza al bambino e la volontà di accudirlo amorevolmente. Può diventare un rituale di benessere per entrambi, che ha un positivo impatto sulla crescita emotiva del bambino. Chi sin da subito ha sperimentato una educazione non violenta, sarà un adulto capace di nutrire empatia nei confronti del prossimo.
  • Il babywearing è una pratica antichissima che riproduce il contenimento vissuto dal bambino all’interno del grembo materno. È quella che più di tutte è utile al mantenimento del contatto fisico e risponde perfettamente all’esigenza del neonato di avvertire il calore del corpo della madre, risentirne l’odore, il suono del cuore. Il neonato nasce con l’aspettativa di essere “portato”, di avvertire il corpo dei genitori e il babywearing consente di rispondere a questa esigenza del tutto fisiologica, concedendo al bambino tempi e modalità di adattamento alla vita extrauterina nel rispetto delle sue necessità. Leggere ad alta voce, sin dal pancione, permette innanzitutto a genitore e bambino di rafforzare il proprio rapporto, crea una relazione di accudimento che passa attraverso il linguaggio, le parole, i suoni. Leggere ad alta voce è, altresì, importante per lo sviluppo cerebrale del bambino, come ormai dimostrato dagli studi relativi alle neuroscienze. Fare della lettura un momento di accudimento, di cura, di attenzione, significa far ricorso, ancora una volta, all’educazione non violenta e alla crescita dialogica e rispettosa, che farà di quel bambino un adulto attento, consapevole, empatico.
  • Medesimo discorso può essere fatto per l’apprendimento musicale. I suoni sono le prime espressioni vocali che il bambino impara, la stessa voce filtra attraverso il grembo come una melodia, la musicalità è innata in ciascuno di noi e ben si sposa con l’avvicinarsi al linguaggio parlato. Il suono è, innanzitutto, per il bambino emozione. Per il tramite della musica impara a conoscere ed a conoscersi.

 

La relazione d’amore con il neonato requisito di benessere in età adulta
Possiamo immaginare il nostro cervello come un albero con una serie di ramificazioni. Ognuna di queste è una abilità innata, più la alimenteremo, più col tempo si svilupperà, diversamente tenderà a “scomparire”, il nostro cervello tenderà a selezionare escludendo quelle abilità poco utilizzate.

Aspettarsi, dunque, che il bambino riesca a stare sin da subito separato dai genitori costituisce una convinzione erronea e non rispondente alla crescita fisiologica.

Il primo rapporto d’amore che un essere umano sperimenta è quello con la propria madre e con i propri genitori, più questo rapporto si svilupperà serenamente e nel rispetto delle esigenze del bambino, più quello stesso bambino sarà un adulto capace di relazionarsi serenamente con gli altri.

Di fatto, la nostra capacità empatica dipende da quanto amore abbiamo ricevuto da bambini.