Finalmente l’arrivo di un bambino sembra non riguardare più esclusivamente la mamma. Parliamo del congedo di paternità che in Italia è stato di recente ripensato, seppur non ancora in linea con le direttive previste da altri Paesi europei.

Approfondiamo l’argomento grazie al contributo di Nicoletta Princigalli, dell’Ass.ne “Lo Scrigno” – realtà attiva nel supporto alle e ai future/i neo-mamme e papà e partner della Rete ZeroSei.

Il congedo consente al genitore di stare a casa per prendersi cura della nuova vita che ha tra le braccia e/o che sta per arrivare ma anche di prendersi cura di sé stesso, di quel nuovo equilibrio che investe la famiglia.

Con il d. lgs. 30.06.2022, attuativo della direttiva UE n. 1158/2019 è stato introdotto il congedo di paternità obbligatorio, della durata di 10 giorni lavorativi, fruibile dal padre lavoratore dipendente nell’arco di tempo che va dai 2 mesi precedenti ai 5 mesi successivi al parto. Il suddetto congedo è fruibile anche in caso di adozione, affidamento o collocamento temporaneo del minore. Con la normativa del 2012 i congedi obbligatorio e facoltativo di paternità erano alternativi al congedo di maternità.

La legge di bilancio del 2022, stabilizzando entrambi i congedi (per il congedo facoltativo è stabilita la durata di 1 giorno), ha previsto la possibilità che gli stessi siano fruiti dal padre anche durante il congedo di maternità della madre, o in un periodo successivo, purché entro il limite temporale dei 5 mesi successivi al parto.

Ma v’è di più. I suddetti congedi possono essere fruiti anche in caso di morte perinatale del figlio. Quest’ultimo passaggio merita particolare attenzione.

È già importante che al padre sia stata riconosciuta, seppur per un periodo di tempo ancora troppo limitato, l’importanza del proprio ruolo e la necessità del proprio esserci; riconoscerle in caso di un evento così traumatizzante lo è ancora di più.

La morte perinatale è una perdita difficile da superare, per entrambi i genitori, ed entrambi hanno bisogno di tempo, spazio e silenzio per fermarsi e accettare il proprio dolore.

Configurandosi il congedo di paternità obbligatorio come un diritto autonomo, non è alternativo al congedo di maternità della madre, ma aggiuntivo a quest’ultimo e fruibile anche in modalità congiunta e indipendentemente dal fatto che la madre usufruisca o meno del proprio diritto. I dieci giorni di congedo obbligatorio possono essere fruiti anche in modalità non continuativa.

Condizionato alla scelta della madre di non fruire di un giorno di congedo di maternità è, invece, il congedo di paternità facoltativo. Pertanto, il giorno di congedo del padre anticipa il termine finale del congedo di maternità della madre.

Per entrambi i congedi al padre è garantita la retribuzione al 100% a carico dell’INPS.

 

L’importanza di estendere ulteriormente il congedo di paternità oltre i dieci giorni

Va da sé che la durata del congedo obbligatorio è ancora troppo breve. Il papà, quanto la mamma, ha bisogno di tempo per adattarsi, per conoscere il bambino, per costruire una base solida su cui far crescere il loro legame. Il papà, diversamente dalla mamma peraltro, non è aiutato dagli ormoni, non sperimenta sul proprio corpo il manifestarsi fisico dell’istinto di accudimento ed avrebbe, a maggior ragione, bisogno di più tempo.

Ma è il bambino stesso, soprattutto lui, ad avere necessità di ritrovare quel nido, che un tempo era il grembo materno, in quella che oggi è la nuova famiglia.

La presenza del padre è rassicurante per il bambino e per la mamma. Il ruolo di protezione, di baluardo quasi, che il papà riveste fa sentire al sicuro la triade, risponde ad un bisogno ancestrale, ad un compito del regno animale di cui noi, quali mammiferi, siamo parte integrante. Vivere insieme, per i genitori, i primi momenti di vita del bambino è fondamentale anche e soprattutto per sviluppare quell’attaccamento che genererà l’accudimento sano e sicuro.

Dieci giorni sono davvero pochi, se si pensa che il cucciolo d’uomo, da immaturo fisiologico, raggiunge una certa autonomia intorno ai 9 mesi, quando termina quella che si chiama esogestazione e il bambino è in grado di raggiungere autonomamente la figura di accudimento e ha sviluppato una certa sicurezza per allontanarsi ed esplorare.

Durante tutto questo periodo il bambino non è in grado di fare quasi nulla da solo. La presenza dei genitori è indispensabile, come lo sarà emotivamente per tutto il corso della vita.Riconoscere al padre il diritto di trascorrere più tempo con il proprio figlio significa riconoscerne l’importanza del ruolo, riconoscere che la cura e l’accudimento non sono solo un affare da donne.

Le ultime direttive rappresentano solo l’inizio di un processo di riconoscimento del ruolo del padre nei primi mesi di vita di un/a bambino/a, che ci auguriamo porti presto a ben più importanti risultati.

 

Altre informazioni su infanzia e genitorialità sono disponibili sul blog di Save the Children Italia