L’arrivo di un bambino in famiglia è un evento gioioso e al tempo stesso sconvolgente poiché questa nuova modalità di esistenza viene messa a dura prova nel momento in cui insorgono i tanto temuti capricci.

 

Nel diventare genitori cambiano le dinamiche e gli equilibri familiari. Bisogna riorganizzare la propria quotidianità, pensare nuovi ritmi, predisporsi all’accoglienza e alla comprensione ma soprattutto mettersi in discussione. Un lavoro costante e in continua evoluzione che presenta da subito le sue prime insidie: i temutissimi capricci.

Ma come può un genitore, ancor più se alle prime armi, riuscire a gestire al meglio un capriccio senza perdere la pazienza o ancor più senza mortificare se stesso o il proprio figlio o figlia nell’incapacità di gestire quell’emozione?

 

Lo abbiamo chiesto a Nicoletta Princigalli, dell’Associazione di Promozione Sociale “Lo Scrigno” – partner della rete ZeroSei – che nel raccontare la sua esperienza professionale e personale fornisce elementi utili per orientare i neo-genitori.

 

Cosa sono i capricci dei bambini
Innanzitutto è bene prendere coscienza del fatto che quelli che per gli adulti sono capricci, per i bambini sono manifestazioni di bisogni, accompagnati molto spesso dalla scarsa capacità di gestire le emozioni. Altresì è necessario fare una distinzione tra la fascia di età 0-3 e la fascia 3—6.

Per quanto riguarda i bambini fino ai 3 anni va detto che non hanno vizi, come spesso la nostra cultura vuole farci credere, ma soltanto bisogni. Questo vale soprattutto per i bambini molto piccoli che, sperimentando la frustrazione di non trovarsi più all’interno del luogo più sicuro ed accogliente che è l’utero materno, devono confrontarsi con la continua scoperta di cose nuove, sensazioni sconosciute, timori inaspettati.
Affacciarsi al mondo, dopo aver vissuto nove mesi nel calore della protezione del grembo materno, può essere davvero complicato, basti pensare che l’essere umano è l’unico immaturo fisiologico, ovvero l’unico mammifero che nasce senza poter essere indipendente, ma avendo bisogno della propria mamma per poter sopravvivere, non essendo capace di raggiungerla autonomamente se non prima di una certa età e non potendo pertanto provvedere da solo al proprio sostentamento nutritivo ed emotivo.
Basterebbe pensare a questo per comprendere come il pianto dei bambini spessissimo sia indicativo di un bisogno, oltre ad essere l’unico strumento di comunicazione.
Dopo i due anni di età subentra nel bambino la scoperta della propria personalità e l’esigenza di affermarla, che frequentemente è la ragione di pianti improvvisi e per l’adulto inspiegabili, pertanto definiti capricci.
Nella fascia 3-6 la prospettiva può essere differente, perché il bambino ha maggiore consapevolezza di sé e della propria capacità comunicativa con il genitore.

 

Il ruolo dell’adulto. Come leggere lo stato di necessità del bambino
Ciò che mi sento di dire, in funzione della mia esperienza di madre e di persona impegnata nel sostegno alla genitorialità, è che ciò che deve guidare l’adulto è la consapevolezza che tutto nel bambino nasca dalla manifestazione di una necessità e non dalla volontà preordinata di porsi in contrasto con la figura educativa di riferimento.
Il compito dell’adulto è, e deve essere, quello di accompagnare il bambino nella scoperta e nella gestione delle proprie emozioni, perché solo attraverso la cura dell’intelligenza emotiva si può trovare una chiave di comunicazione serena.
Altresì è necessario rispettare il desiderio esplorativo del bambino e permettergli di fare le proprie esperienze in sicurezza; per intenderci, il no fine a sé stesso spesso produce un contrasto difficile da gestire, il creare l’alternativa e dare al bambino l’impressione di aver compiuto lui una scelta differente può essere più risolutivo.
Tutti noi genitori abbiamo vissuto l’esperienza del pianto disperato causato dal desiderio di un giocattolo e tutti ne abbiamo sperimentato la difficoltà di gestione della situazione.
Ebbene, questo che sembra assolutamente un mero capriccio, nasce molto spesso dalla incapacità del bambino di comprendere ciò che sta provando (rabbia nei confronti del rifiuto del genitore) e soprattutto di gestire quella emozione.
Pertanto fondamentale sarà, sin dalla nascita oserei dire, accompagnare i bambini nella scoperta delle emozioni, in modo da dar loro i giusti strumenti per riconoscerle e gestirle, ma soprattutto accoglierle.

 

Come gestire il momento del “capriccio”
Ciò che ho sperimentato personalmente è la grande forza del contenimento, dell’abbraccio, dell’accoglienza.

Le armi più efficaci sono: 
– abbassare il tono della voce, pur mantenendolo fermo;

guardare il bambino negli occhi stando alla sua altezza;

abbracciarlo amorevolmente.

Ciò di cui il bambino ha più bisogno è sentirsi accolto e contenuto, l’abbraccio dell’adulto può tranquillizzarlo molto più efficacemente e molto più velocemente; il sentirsi accolto può sciogliere molto la tensione.
Non sempre è facile farlo e, spesso, è faticoso, ma bisogna provarci.
Questo non significa abdicare al proprio ruolo educativo, anzi è fondamentale che il bambino avverta la presenza solida e rassicurante del genitore, ma è altrettanto necessario che si senta accettato in ciò che prova ed accompagnato, perché solo una modalità comunicativa non violenta può portare alla risoluzione serena dei “conflitti” che fisiologicamente insorgeranno.

 

Per acquisite maggiori informazioni collegati al blog di Save the Children Italia, uno spazio di approfondimento tematico dedicato alle famiglie e non solo