I bambini e le bambine, specie se stranieri, sono spesso le vittime principali  dei diversi processi che impattano sulla vita familiare, tra cui la trasformazione delle relazioni sociali e familiari derivante dal lungo periodo della pandemia, i movimenti della popolazione sul pianeta, a seguito della crisi climatica e dei conflitti, le politiche pubbliche per la tutela dei diritti dei minori ancora poco coordinate e omogenee, un aumento della povertà concentrato soprattutto nelle famiglie con bambine o bambini tra 0 e 6 anni.

Tutto questo ci porta ad assistere a situazioni molto critiche: minori stranieri spesso “non accompagnati”, spesso abbandonati in condizioni di incertezza abitativa e familiare; minori italiani costretti all’interno di famiglie in difficoltà nell’assicurare loro tutto quanto necessario sul piano sanitario ed educativo, a volte persino dell’ordinaria sussistenza Accanto a questo si assiste a un deciso aumento dei dati riguardanti la sofferenza psichica e i suicidi – o progetti suicidari – tra gli/le adolescenti. Sebbene questo fenomeno sia presente in tutto l’Occidente e raggiunga i numeri più consistenti negli USA, la condizione di adolescenti, ragazzi e ragazze, anche in Italia, mostra i segni di una profonda sofferenza e difficoltà ad attivare processi virtuosi di dialogo e inclusione nella cosiddetta società degli adulti. Appare evidente, allora, quanto l’intervento sociale a tutela dell’infanzia e dell’adolescenza sia sempre più urgente: a volte, esplicitamente richiesto. Approfondiamo l’argomento con Claudia Paraguai, coordinatrice di Fiocchi in Ospedale Pescara, per la Cooperativa Orizzonte.

Si fanno sempre più numerose le segnalazioni formali alle forze dell’ordine o ai servizi sociali (o informali: a qualche insegnante, ad esempio) di situazioni problematiche, riguardanti la sicurezza e il benessere psicologico di ragazze e ragazzi: informazioni su casi che, nell’idea di chi fa la segnalazione, richiederebbero un intervento di tutela. Richieste di aiuto.

Come, d’altronde, più numerose si fanno le denunce di illeciti penali ipoteticamente in atto, o la cui sussistenza è da verificare, soprattutto nell’ambito della violenza domestica.

In tutti questi casi, comunque, si moltiplicano le situazioni in cui i servizi sociali – in particolar modo, i Servizi di tutela a Minori e Famiglie – sono chiamati a intervenire con la consapevolezza della labilità psichica dei soggetti coinvolti, della precarietà delle dinamiche intersoggettive implicate e, ovviamente, della estrema delicatezza dei compiti d’istituto e dei rischi dell’intervento in contesti tanto fluidi.

Sempre più, dunque, si richiedono professionalità, accortezza d’approccio, pratiche partecipative, originalità e creatività.

 

L’intervento precoce per prevenire il disagio

Il nodo centrale è spesso rappresentato dalla problematica dei tempi. Quando si identificano le situazioni di sofferenza e pregiudizio a danno di bambine e bambini, e quando si segnalano ai servizi e/o alle autorità preposte alla tutela dei minori.

Quando la crisi familiare o sociale viene identificata e segnalata in una fase precoce, cioè nel momento in cui insorge, la richiesta può essere quasi certamente inscritta nelle procedure di prevenzione. È questo il caso delle segnalazioni precoci,di genitori, caregiver di riferimento (pediatri, ostetriche, medici di medicina generale, educatori e educatrici perinatali, ecc) che possono essere fatte ai Dipartimenti Materno Infantili degli ospedali, ad esempio, e nelle quali, si descrive la rilevazione di un esercizio problematicodelle funzioni genitoriali, e  si consente ai servizi sociali e alle realtà del terzo settore a essi collegate di intervenire per correggere le (neonate anch’esse) disfunzioni relazionali.

C’è poi il caso di segnalazioni anche di poco più tardive che possono essere fatte da ogni cittadino tenuto (moralmente) a segnalare, appunto, condotte inadeguate a carico di soggetti deboli, e che devono essere fatte da pubblici ufficiali o da incaricati di pubblico servizio. Anche in questi casi, qualora riguardino dinamiche familiari, si possono ancora realizzare interventi di prevenzione delle condotte che rischiano di compromettere il sano sviluppo dei bambini e delle bambine.

Sta alle professionalità degli operatori psicosociali del territorio, riuscire ad agganciare le famiglie e dialogare con loro nel modo più appropriato per aiutarle a considerare e gestire la necessità di cambiamento che viene identificata.

Ma, qualora le condotte genitoriali inadeguate non vengano riconosciute  o addirittura vengano negate dai genitori, chi si sta occupando di loro deve percorrere la via della denuncia formale alle Autorità Giudiziarie che interverranno in forma più blanda nel caso in cui il disordine relazionale familiare, sebbene misconosciuto o negato, sia sanabile con interventi conciliati nell’ambito del procedimento civile.

Faranno, invece, riferimento agli strumenti del codice penale se o quando si denunci un  reato (ad esempio una condotta genitoriale maltrattante o colpevolmente trascurante) che richiede una tutela del minore con forme di maggiore incisività (allontanamento, istituzionalizzazione, ecc.)

Resta, quindi, l’urgenza che nella comunità adulta circolino temi come controllo sociale, solidarietà, ricorso ai servizi sociali, con la certezza che si tratta di percorsi “virtuosi” che riguardano la possibilità che tutti abbiamo di guardare oltre noi stessi, di riconoscere persone in difficoltà e di accendere in loro favore (e il prima possibile) un faro di attenzione professionale che potrà attivare interventi di protezione degli equilibri relazionali che sono anche movimenti di protezione della salute mentale di grandi e piccoli.