Il lavoro di orientamento e accompagnamento delle famiglie vulnerabili in questa nuova era Covid-19 si è trasformato. Ne parliamo con Paola Ehsaei e Gina Riccio della Fondazione Archè, realtà che in partenariato con Save The Children ha accolto questa nuova sfida.

 

L’eccezionalità di una pandemia che trasforma il lavoro
In un tempo storico così complesso, ci si è messi a fianco degli operatori e delle famiglie, delle mamme e dei papà, delle bambine e dei bambini, per co-costruire strade innovative in grado di affrontare la precarietà socio-economica e culturale aggravata dalla pandemia.

A Roma durante il primo lockdown noi operatori e le famiglie affiancate eravamo tutti spaesati all’interno dei servizi ospedalieri. Le mamme entravano in sala parto senza i papà, se la mamma risultava positiva veniva isolata con il bambino, se il bambino nasceva negativo, purtroppo, veniva separato dalla mamma.

Oggi molti di questi aspetti sono cambiati, conosciamo meglio la malattia Covid-19, e per certi versi l’emergenza è divenuta normalità; la mascherina è diventata un oggetto familiare delle nostre giornate (la si prende prima di uscire di casa, con il portafoglio e le chiavi) e l’igienizzazione delle mani un rito naturale, come il distanziamento sociale.

Il lavoro dei servizi Fiocchi in Ospedale – SpazioNeonatoFamiglia, nel periodo di maggiore incertezza, ha garantito la vicinanza ai nuclei più in difficoltà sia attraverso le tecnologie (videochiamate, messaggi, audio), sia accogliendo i nuclei in sede per aiutarli nella burocrazia (documenti, codice fiscale, STP,…) o con un sostegno materiale (pannolini, latte, spesa,…), in modo da diminuire gli accessi in ospedale dei singoli beneficiari.

 

Com’è cambiato l’accesso ai servizi territoriali
Il sistema territoriale stesso, con la pandemia, è mutato, e pertanto gli operatori si sono trovati ad esplorare con le famiglie beneficiarie percorsi inediti che hanno agevolato gli affiancamenti successivi. Le richieste erano molto diverse e le risposte erano da costruire insieme:

“Devo riconoscere mio figlio, ma il papà è positivo ed è a casa, come fare?”: abbiamo studiato con l’anagrafe centrale quale potesse essere la strada più facile.
“Devo fare il codice fiscale al bambino, ma gli uffici sono chiusi!”: abbiamo imparato le procedure online dato che ad oggi gli uffici sono chiusi e gli operatori lavorano in smartworking.
“Come faccio a portare a terapia il piccolo se vi è la possibilità di contagio ed io ho il permesso appena scaduto?”: abbiamo chiesto ai servizi la possibilità “di far venire il terapista a casa” attraverso una videochiamata.
“Devo fare i controlli in gravidanza ma è tutto posticipato!”: abbiamo cercato insieme un consultorio che potesse accoglierli e seguirli.

Ogni volto, storia, nucleo, operatore ha costituito per ciascuno di noi la possibilità di accompagnare ed orientare attraverso nuove forme di conoscenza e strategie.

 

Il lavoro con le famiglie fragili per patologia del nascituro
Il lavoro con le famiglie vulnerabili e maggiormente a rischio, anche per la patologia del nascituro, ci ha permesso di ampliare la rete di cura e co-costruirne una nuova che avesse una modalità più veloce, dati gli innumerevoli rallentamenti dovuti alle lentezze burocratiche e alla paura del contagio.

Ad un certo punto, come operatori a supporto delle famiglie fragili, ci siamo interrogati sul come costruire “strade di luce” che non portassero ad ulteriori stereotipi o a forme di razzismo.

Inevitabilmente, in una situazione globale di fragilità ed insicurezza, le famiglie vulnerabili sono state esposte a un rischio maggiore, eppure per ciascuno di noi la pandemia è stata anche l’opportunità di verificare come le famiglie stesse trovassero risorse e strategie: come se lo status “siamo tutti vulnerabili” permettesse un riscatto e la possibilità di migliorare la propria situazione nonostante tutto.

 

Roma e Milano nella gestione e risposta degli effetti della pandemia
Ogni storia che abbiamo accompagnato, da quella di Alisia (donna che ha partorito in un ospedale mentre il marito era in terapia intensiva ed i loro altri 3 figli, positivi, erano in quarantena con la nonna) a quella di Kalì (uomo che ha perso la compagna durante il parto di loro figlia), è stata un atto di ottimismo e speranza, di cui oggi vediamo i frutti.

Lo stesso Kalì in un colloquio ci ha detto: “la vita deve andare avanti e la mia bambina ne è la testimonianza”.

La nostra esperienza a Roma sicuramente è differente da quella vissuta dai colleghi di Milano, che hanno avvertito maggiormente il peso della precarietà e dell’incertezza, operando nella regione più colpita dal virus.

Eppure, nonostante le sfide quotidiane e la tanta sofferenza accolta, sia a Roma che a Milano Arché ha saputo svolgere un lavoro di squadra con le famiglie e gli operatori stessi con l’obbiettivo di confrontarsi, trovare soluzioni comuni, condividere le sfide ed alleggerire il cuore.

A Milano la sfida più grande è consistita nell’assistere, inermi, all’impoverimento causato dall’emergenza sanitaria. Le più colpite sono state le donne: spesso precarie, non contrattualizzate e con figli a carico. Donne sole, senza l’appoggio di un partner perché disinteressato o allontanato in quanto violento. Donne spesso straniere, in Italia senza famiglia, e senza qualcuno in grado di dar loro una mano. Donne seguite dai nostri servizi, dai progetti territoriali e dall’educativa domiciliare minori e disabili.

Il fondamento che ha mosso il nostro lavoro (e il nostro animo) è stato quello di arginare la solitudine patita dalle famiglie. Mai come in quest’ultimo anno (anzi, ormai due…) abbiamo avuto la sensazione che il nostro lavoro sia veramente quello che ci viene insegnato all’università: il riconoscimento del valore, della dignità e unicità della persona.

Solo la relazione pensata e impostata in base all’unicità di quella specifica persona è stata l’antidoto alla situazione sociale provocata dal Covid-19. Ed è affiancando i genitori che si sostengono anche i minori. Grazie al servizio di Educativa Domiciliare a Milano siamo riusciti ad evitare, anche per gli adolescenti, fenomeni come l’abbandono scolastico e lo sviluppo di stati d’animo tendenti al depressivo e al nichilismo.

In particolare i ragazzi nella fascia di età 12-16 anni sono stati iper-bombardati dalla tecnologia (lezioni online, videochiamate con educatore scolastico, con l’educatrice domiciliare, con i parenti) e questo faceva sì che avendo il cellulare o il tablet in mano tutto il giorno si dissociassero completamente dalla realtà. È stato nostro compito suggerire attività capaci di coinvolgere anche il resto della famiglia. Un ulteriore fattore stressante che si aggiungeva era la convivenza forzata in spazi ristretti, magari sovraffollati.

Attraverso la relazione, il nostro esserci, il nostro stare abbiamo garantito momenti di rielaborazione della situazione alle famiglie. Siamo stati occasione di socialità, anche con una videochiamata, e, quasi involontariamente, abbiamo arginato situazioni di isolamento e marginalità rafforzando la sopravvivenza emotiva dei nuclei familiari di cui ci prendiamo cura.

Spesso accogliendo le fatiche delle famiglie avevamo le lacrime agli occhi: meno male che la mascherina nascondeva un po’ le nostre emozioni!

Xiana, Melany, Khelafi, Valeria, Antonio, Benedetta, Lunamay, volti e storie che raccontano il pezzetto di strada fatto insieme. “Ogni storia è un atto di ottimismo e di speranza, un gesto che si oppone alle forze della distruzione. Ogni storia ci conduce verso la luce” (David Almond). E forse è questo che ci permette di guardare al futuro con le famiglie che accompagniamo qui in Fondazione Arché Onlus!

 

Le modalità di accesso ai servizi territoriali di Archè
Le modalità di accesso ai servizi di Fondazione Arché Onlus avvengono o su richiesta diretta della famiglia o su invio di altri enti e servizi (ospedali, scuole, consultori, UONPIA, servizi sociali territoriali professionali, centri di ascolto; ecc.).
Per Milano Paola Ehsaei, assistente sociale, coordina nel Municipio 8 i progetti territoriali di aiuto alle famiglie con minori in difficoltà e in zona 2 l’assistenza educativa minori e disabili a domicilio.
Per Roma Gina Riccio, psicoterapeuta familiare, coordina il servizio Fiocchi in Ospedale-Spazio Neonato Famiglia in 5 ospedali di Roma (San Camillo; Gemelli; San Giovanni; Policlinico Umberto I; Vannini) ed è tutor territoriale del Progetto “Per Mano” a supporto della fragilità genitoriale.