Un problema di salute pubblica

Il maltrattamento sui bambini e le bambine è un problema di salute pubblica (OMS, 2012) che colpisce un numero imprecisato di vittime, e che si consuma nella maggior parte dei casi nell’ambiente familiare, quindi in un contesto di relazioni intense e continuative, che dovrebbe rappresentare lo spazio per eccellenza della sicurezza e dell’attaccamento di ogni essere umano. Proprio per questo le conseguenze possono essere gravemente pregiudizievoli per lo sviluppo successivo e possono compromettere nella maggior parte dei casi la possibilità di maturare fiducia in sé stessi e nel mondo degli adulti.

 

Superare la soglia del sommerso

Secondo la ricerca di CISMAI e Terres del Hommes – Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti, 2015 – il maltrattamento colpisce in Italia quasi 100.000 fra bambini e ragazzi su un numero complessivo di minori in carico ai servizi sociali di quasi 460.000 (dati 2015). Va considerato che questo numero rende conto solo ed esclusivamente di tutte quelle situazioni sulle quali si è acceso l’occhio della tutela sociale formale, mentre restano esclusi da questo triste conteggio tutti i casi sommersi, o per i quali è troppo lungo e costoso effettuare un percorso di presa in carico, o le forme di trascuratezza quotidiana di cui è difficile prendere visione, o le forme di prevaricazione e violenza che si verificano all’interno di strutture istituzionali o online.

 

Quando stare in casa non aiuta la salute

L’emergenza sanitaria in corso conferisce a questo tipo di fenomeno un’enfasi indesiderata, quello che si potrebbe chiamare un danno collaterale grave della pandemia.

Non si hanno stime precise sulle eventuali recrudescenze o modificazioni delle azioni violente a danno di bambini e bambine dentro i confini invalicabili delle mura domestiche. Molti pronto soccorso italiani però registrano un aumento generalizzato di accessi per lesioni da traumi intenzionali, a carico di anziani, di disabili, di donne.

Si può immaginare che la riduzione considerevole dell’autosufficienza economica, l’inattività da sospensione del lavoro, gli spazi ristretti, l’impossibilità di uscire anche solo per sottrarsi ad una situazione di tensione, la convivenza con figli e figlie che patiscono l’isolamento dai loro coetanei, la riduzione di tutte le prassi di protezione sociale ordinaria, la sospensione degli interventi domiciliari di supporto, e numerosi altri effetti dell’isolamento sociale, possono portare all’acuirsi di comportamenti violenti e maltrattanti, a grida e rimproveri accesi, a momenti di aggressività contro oggetti e persone.

A tutto questo, va aggiunta la peculiare situazione dei neo genitori che si trovano da soli a costruire la relazione di cura, imparando che cosa significa nutrire un neonato, conciliare il suo sonno con il proprio, attaccare al seno, massaggiare, cambiare. Tutto questo in una generale incertezza circa le garanzie del servizio sanitario che ha fortemente contratto la continuità assistenziale, riducendo l’apertura dei presidi territoriali o contingentando gli accessi solo per i casi più gravi. La preoccupazione – spesso priva di una reale e comprovata ragione – ad uscire di casa anche solo per fare i controlli post parto previsti o per effettuare le vaccinazioni aggiunge ulteriore stress e ansia alla convivenza con il neonato.
Tutto questo ha spinto tra l’altro alcune organizzazioni, coordinate dal CISMAI, a presentare un appello urgente al governo italiano perché si adottino delle misure straordinarie, tra le quali la costituzione di task force locali multidisciplinari, la ripresa di alcuni necessari interventi di tutela, la sensibilizzazione delle forze dell’ordine. (QUI IL TESTO COMPLETO)

 

Condividere le responsabilità di cura per proteggere

Proteggere bambini e bambine da ogni forma di rischio o pregiudizio per il loro sviluppo significa non solo contrastare ogni forma di violenza e maltrattamento nei loro confronti – percosse, molestie, stupri, esposizione a droghe, alcool, farmaci, violenza domestica – ma anche promuovere in modo attivo la loro salute, intesa come una condizione di benessere globale sul piano fisico, psicologico ed emotivo.

Assicurare il diritto alla protezione, prevenendo ogni forma di maltrattamento e violenza significa quindi favorire la condivisione della responsabilità di cura, attraverso la promozione di policy di tutela nei contesti di assistenza ed educazione, l’osservazione, l’ascolto, il dialogo e il supporto degli adulti di riferimento, lo scambio di pratiche di prevenzione e sensibilizzazione, la creazione di reti territoriali multidisciplinari di protezione, in grado di intervenire con autorevolezza, prudenza, professionalità e continuità per contrastare ogni situazione che possa mettere a rischio la serenità e lo sviluppo positivo di bambini e bambine.

 

La difficile strada delle politiche pubbliche

Mai come in quest’epoca di sovraffollamento della comunicazione, il tema della protezione dei bambini e delle bambine dal maltrattamento ha superato la soglia di attenzione del grande pubblico ed è stato materia di polemica e propaganda politica. Proprio la sovresposizione mediatica di questo argomento ha mostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, quanto sia fuorviante un approccio che non si misuri con la cautela nei giudizi e con il primato del cosiddetto “superiore interesse del minore”. Famiglia e servizi sociali non sono due fazioni in conflitto, e il superiore interesse di bambini e bambine si realizza, nella maggior parte dei casi, in un’azione di presa in carico multidisciplinare, dove competenze e professionalità diverse concorrono a potenziare e sostenere la famiglia, a verificare le cause delle condizioni di rischio, a studiare percorsi di recupero, anche di medio periodo.
Ogni minore in situazione di rischio è, in primo luogo, una persona da mettere in sicurezza ma è anche, in secondo luogo, un vulnus alla qualità della salute pubblica. Questo significa che le politiche pubbliche non possono esimersi dal confronto con tutte le misure complicate, lunghe e costose, dell’accertamento, del recupero, della riabilitazione, ovvero dell’allontanamento, dell’avvio di azioni legali per la riduzione della potestà genitoriale, dell’attivazione di un’osservazione costante e qualificata.
Ma soprattutto, compito delle politiche pubbliche è guardare al prima, alle misure che possono supportare una genitorialità consapevole e positiva: prevenire il maltrattamento involontario e lo scuotimento dei neonati; gestire lo stress genitoriale; prevenire la trascuratezza con la cura delle relazioni e l’attenzione al nutrimento della mente, alla lettura, alla tenerezza, al gioco condiviso; facilitare la creazione di comunità di cura territoriali che siano in grado di ridurre l’isolamento dei genitori, facendoli sentire appoggiati, dando loro informazioni e opportunità; favorire l’accesso alle strutture educative e agli asili nido.
Proteggere bambini e bambine è una responsabilità che riguarda il benessere e il futuro delle società e la loro capacità di prendersi cura delle generazioni che verranno.