La crescita di un bambino attraversa molte fasi, sia dal punto di vista cognitivo che dal punto di vista relazionale. L’incontro con le emozioni è una scoperta che può risultare destabilizzante, se non guidata e non accompagnata gradualmente alla conquista della consapevolezza. Approfondiamo l’argomento con il contributo di Nicoletta Princigalli, dell’associazione Lo Scrigno, partner della Rete Zero Sei di Save the Children.

Nei primi anni di vita, il bambino conosce e sperimenta innanzitutto l’attaccamento alla figura educativa di riferimento, che molto spesso è la mamma. Lei è nutrimento, conforto, rifugio, sicurezza, affetto. Attraverso il rapporto con la mamma, il bambino conosce e riconosce le emozioni, sue e della mamma stessa.

Da come si evolve il rapporto con lei, dipenderà con buona probabilità la modalità di relazione che quello stesso bambino manifesterà da adulto nei suoi rapporti con gli altri.

Pian piano, poi, impara a relazionarsi anche con gli altri membri della famiglia, che di fatto, per un certo periodo di tempo, costituiscono il suo mondo.

La gestione delle emozioni all’interno di quelle prime relazioni affettive creerà l’imprinting che quel bambino custodirà nel suo intimo e del quale farà tesoro quando le esperienze di vita lo condurranno a relazionarsi all’esterno di quel guscio che lo ha protetto e amato.

 

I servizi educativi: un’opportunità di crescita che va sostenuta

L’approdo del bambino alle realtà educative, in primo luogo la scuola, è spesso ritenuta dagli adulti una tappa senza traumi, a ben guardare benché fisiologica ed assolutamente funzionale per la crescita del piccolo, anche e soprattutto dal punto di vista emozionale, l’arrivo nella comunità scolastica comporta il promo vero distacco dal nido familiare e determina, o può determinare, nel bambino smarrimento, paura, preoccupazione, a volta anche rifiuto.

Il distacco non è mai qualcosa di semplice da gestire ed è compito e cura degli adulti accompagnare quel bambino, innanzitutto alla scoperta di quelle emozioni che ne pervaderanno l’animo in maniera potente ed inaspettata, ma anche guidarlo nella gestione di ciò che sente e soprattutto rispettarlo.

Il rispetto per le emozioni del bambino e per le difficoltà che attraversa è fondamentale. Nulla per lui è scontato, tutto è nuovo, inaspettato, ignoto e come tale può generare timore. Ciò che per noi è banale, naturale, semplice, per il bambino non lo è. Minimizzare i suoi sentimenti significa mortificarlo, non dargli importanza, farlo sentire inadeguato. Se l’emozione che proverà nel confrontarsi con il nuovo ambiente, estraneo a quello familiare, è l’inadeguatezza, quella stessa emozione gli resterà incollata addosso e non gli permetterà di relazionarsi serenamente.

È compito di noi adulti, sia che ricopriamo il ruolo di genitori sia quello di educatori, di accogliere il bambino, perché soltanto l’accettazione lo farà sentire al sicuro, lo metterà nelle condizioni di esplorarsi, di comprendere, di conoscere e riconoscere, di accettare egli stesso quel cambiamento che col tempo diventerà fisiologico, ma che all’inizio è del tutto sconosciuto.

Il bambino che avrà sperimentato l’amore, lo saprà praticare. Si diventa ciò che si impara. L’esempio è molto più determinante delle parole e un adulto che avrà praticato amore, rispetto, attenzione, comprensione verso un bambino, avrà gettato le basi per un mondo migliore, che può essere cambiato davvero, un bambino alla volta.

La responsabilità della crescita sana ed equilibrata è innanzitutto della famiglia, che costituisce il primo nucleo in cui si sviluppa e si manifesta la personalità di ognuno di noi, il primo gruppo in cui si impara la relazione; ma è anche dei singoli presidi educativi preposti alla cura dell’infanzia e dell’adolescenza, che insieme alla famiglia devono condurre le proprie azioni alla ricerca di un modo efficace ed equilibrato di praticare le relazioni sane.

Ogni relazione con gli altri presuppone una comunicazione che trasmette emozioni: quindi conoscere il linguaggio emotivo e riuscire a mostrare il nostro stato d’animo in maniera adeguata può essere di grande aiuto.

Non dobbiamo mai dimenticare che il bambino apprende dai comportamenti che osserva, saranno gli esempi con i quali verrà in contatto a guidare le sue azioni. Dei genitori che si relazionano serenamente tra di loro e con il bambino, o anche degli insegnanti o degli educatori che praticano quotidianamente il rispetto e l’ascolto mostreranno al bambino che quello è il canale di comunicazione corretto, che le relazioni vanno gestite con pacatezza.

Ciò non vuol dire negare o reprimere le emozioni negative, queste vanno riconosciute e gestite, in ultima analisi, accolte.

Affinché quella emozione non prenda il sopravvento diventando quasi ingestibile, il bambino è bene che venga ascoltato, guidato all’ascolto di sé stesso, evitando in questo modo che sperimenti la frustrazione e col tempo le emozioni negative prevalgano su quelle positive, compromettendo la sua capacità di comunicazione.

Quella tra famiglia e presidi educativi è una sinergia estremamente delicata ed importante, che va custodita con grande attenzione. Il nostro essere da adulti è il frutto della strada percorsa da bambini, degli incontri vissuti, delle emozioni sperimentate. Troppo spesso ce ne dimentichiamo, famiglia, scuola, centri educativi finiscono per camminare ognuno per conto proprio, ma è dal camminare insieme che proviene la forza, un vento nuovo, di cambiamento, che porti la società tutta a migliorarsi attraverso gli occhi e il cuore dei bambini.

Ognuno di noi, nel proprio piccolo, può essere il cambiamento.

 

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