La riapertura del dialogo e la collaborazione tra le parti sono le fondamenta di una nuova relazione costruttiva, diversa dalla precedente, più evoluta. Questa “negoziazione”, se assistita dalla presenza di un soggetto terzo, si trasforma in mediazione.
Ne parliamo con Nicoletta Princigalli, che ringraziamo per il contributo, dell’Ass.ne “Lo Scrigno” – realtà attiva nel supporto alle future e neo-mamme e papà e partner della Rete ZeroSei.
Che cos’è il conflitto
Il conflitto è una relazione antagonistica fra soggetti individuali o collettivi, in competizione fra loro, per il possesso, l’uso o il godimento di beni scarsamente disponibili (Enciclopedia Italiana Treccani).
La nostra cultura giuridica, attribuisce al conflitto un’accezione negativa. Esso viene concepito e percepito come un evento patologico, un problema da risolvere, con l’intervento di soggetti professionalmente preparati a farlo.
Di fronte ad un conflitto si cerca, innanzitutto, di individuarne le cause e di attribuire le responsabilità, quasi mai lasciando spazio alla valutazione di eventuali possibilità dallo stesso derivanti.
Sarebbe importante trattare il conflitto non come un male della società, ma indagare i metodi e gli strumenti più efficaci per gestirlo.
Come gestire il conflitto
La soluzione più comune nella gestione del conflitto è quella di portare le parti a riaprire il dialogo e a collaborare per individuare una soluzione che possa soddisfare le esigenze di tutti.
La riapertura del dialogo e la collaborazione tra le parti saranno le fondamenta di una nuova relazione costruttiva, diversa dalla precedente, più evoluta.
Questa fase, se assistita dalla presenza di un soggetto terzo, si trasforma in mediazione.
Attraverso il lavoro di mediazione i soggetti si riappropriano del proprio rapporto, riacquistano quel senso di responsabilità ed autoresponsabilità che la smania di affermare la propria personale posizione aveva fatto loro perdere.
Affinché si abbia un esito positivo, i soggetti coinvolti devono essere disposti ad ascoltarsi e a comprendere che il bene personale può essere raggiunto anche attraverso la coltivazione del bene comune.
La tecnica della conciliazione, come strumento di risoluzione dei conflitti è antichissima. Noi possiamo considerarci la culla della mediazione. Dalla notte dei tempi, mediare e dialogare sono ritenuti strumenti fondamentali per un vivere civile più sereno e rivolto alla custodia del bene comune.
Educare alla mediazione. Il ruolo della scuola e la nascita della “peer mediation”
La capacità di mediare va coltivata e applicata sin dai primi anni di vita di un individuo.
Il coinvolgimento del mondo scolastico permette, sin da giovanissimi, di esercitarsi nell’arte del dialogare, mediare, gestire il conflitto. Attitudine che, se ben appresa e sviluppata, contribuirà a creare adulti equilibrati, capaci di ascoltare e di comprendere l’altro.
La scuola costituisce una delle principali agenzie educative, è il luogo nel quale l’individuo forma ed esprime la propria personalità, ma è anche il luogo nel quale socializza, si relaziona con altri individui singolarmente o come membro di un gruppo.
Lo strumento principale che la scuola ha per mettersi in relazione con gli individui che «vivono» al suo interno è la comunicazione.
All’interno della scuola i conflitti possono verificarsi a più livelli tra studenti; tra studenti e docenti; tra docenti; tra docenti e genitori.
La funzione di mediazione, pertanto, è importante ai fini di una più serena comunicazione.
Mediare vuol dire conoscere ed accettare l’altro. Inoltre, favorisce e migliora le competenze di apprendimento e le competenze sociali.
Attraverso questa metodologia, la comunicazione tra studenti e docenti si modifica: l’autorità è sostituita dagli strumenti della mediazione.
Le situazioni che generano conflitto sono, nella maggior parte dei casi, di natura interpersonale. Possono derivare da: frustrazione da parte dello studente (può anche essere espressa da atteggiamenti del corpo); avversione del docente nei confronti dello studente; litigi; litigi mancati; tensioni familiari (delle quali lo studente è portatore); conflitti «di genere».
Spesso gli episodi di bullismo non derivano altro che da conflitti mal gestiti che, non essendo stati mediati sin dall’inizio, si sono aggravati.
Nel 1891 a San Francisco (Usa) nasce la peer mediation.
Nella peer mediation si istruiscono alcuni ragazzi sulle tecniche dell’ascolto e sulla gestione del conflitto.
Sono gli stessi studenti ad essere mediatori, ad individuare la causa del conflitto e ad intervenire, senza porsi in posizione giudicante, ma cercando un canale di comunicazione.
Il punto di forza della peer mediation risiede nel fatto che i ragazzi soggetti a vessazioni parlano più facilmente con uno studente-mediatore.
La cultura della mediazione priva il conflitto delle caratteristiche negative che gli sono attribuite e contribuisce a ridefinirlo come risorsa utile alla crescita dell’individuo.
L’utilizzo della mediazione all’interno della scuola può costituire una importante opportunità formativa e di educazione al dialogo, alla comprensione dei bisogni e del sentire altrui, in una parola educazione all’empatia.