In che modo la violenza verbale incide negativamente sul benessere del bambino/a? Spesso le parole pesano come macigni per i più piccoli che si trovano a dover gestire l’aggressività verbale dei genitori o degli adulti di riferimento, senza avere alcuno strumento per difendersi.
Approfondiamo l’argomento con il contributo di Stefania Rossetti e Valentina Di Grazia, dell’Unità Sistemi di Tutela di Save the Children Italia.
Le parole possono avere un grande effetto sull’individuo a cui si parla, specialmente quando sono i genitori che parlano ai loro figli e figlie. Ad avere un effetto non sono solo le parole, ma il modo in cui queste vengono pronunciate, il tono della voce, le espressioni facciali e il linguaggio del corpo: tutti fattori che giocano un ruolo importante nel definire il messaggio (Brennan, 2001, 2003; Lane, 2003).
Che cosa si intende per violenza verbale e quali effetti produce sui bambini
La violenza verbale può essere definita come qualsiasi comportamento aggressivo che si verifica attraverso la comunicazione umana, inteso a causare angoscia e percepito come svilente, umiliante, intimidatorio o irrispettoso (Brennan, 2001; Howells-Johnson, 2000) con conseguente senso di inferiorità, abbassamento dell’autostima, che limita aspirazioni e ambizioni dei più piccoli (Goldberg e Goldstein, 2000; Goldberg, Pachas e Keith, 1999).
La violenza verbale è caratterizzata da comportamenti quali: sminuire, imprecare, insultare, criticare in maniera aggressiva, minacciare. L’obiettivo è spesso quello di degradare l’anima e la mente del bambino/a a un livello tale da non avere la capacità di rispondere. La violenza verbale si intreccia spesso, con altre forme di abuso e violenza come l’abuso fisico e/o psicologico, la violenza assistita.
A volte alcuni genitori, in un tentativo di disciplinare e ‘educare’ i propri figli rischiano di ricorrere spesso ad un linguaggio aggressivo. Queste pratiche lasciano il segno nella mente e nella vita del bambino/a. Inveire contro bambini/e dicendo frasi del tipo: “Mi vergogno di te”, “Mi fai schifo”, “Sei un cretino” o “Sei un buono a nulla” può non uccidere in senso letterale ma uccide lo spirito, il senso di autostima, ferisce la mente in evoluzione di bambini/e, specie nella prima infanzia, ed ecco che le parole fanno più male delle botte.
Usare l’aggressività per educare è sempre controproducente per 2 semplici ragioni:
- Nel momento in cui ci si mostra aggressivi, anche solo verbalmente, l’attenzione del bambino si sposta dal proprio comportamento e alla risposta del genitore a quel comportamento. Questo significa che il bambino non si concentrerà più su sulle proprie azioni e a come modificarle. In questo modo il genitore fallisce completamente l’obiettivo educativo perché il bambino non è più concentrato a capire cosa sta sbagliando e come potrebbe fare meglio ma pensa soltanto a quanto spaventoso è diventato il genitore.
- Quando il genitore spaventa, sminuisce o minaccia il bambino lo pone di fronte a un profondo ‘paradosso biologico’. I bambini vengono al mondo con il bisogno di ricorrere alla figura di attaccamento, il genitore o chi se ne prende cura, per ricevere cure e protezione. Quando però quella stessa figura è anche fonte di minaccia e paura diventa estremamente confusivo per la mente del bambino.
Come fermare la violenza verbale
È normale come genitori provare rabbia e un senso di frustrazione nel rapporto con i propri figli; tuttavia, è importante imparare a esprimere delusione o frustrazione senza insultare o sminuire. Come adulti è importante riconoscere la rabbia ma non esserne sopraffatti per evitare che sfoci in aggressività. È importante correggere il comportamento del proprio figlio/a dicendogli/le che il comportamento è inaccettabile e sbagliato ma mai dire che è inutile o sbagliato come persona.
La violenza verbale assistita
Bambini e bambine possono essere colpiti dalla violenza verbale non sono in maniera diretta, ma anche essendo testimone di questo tipo di aggressione da parte di una figura di riferimento verso un’altra figura di riferimento.
Quanto questo accade parliamo di violenza assistita. La violenza assistita, intesa come l’esposizione del/la bambino/a alla violenza, di tipo fisico, psicologico, sessuale, economico compiuta da un membro della famiglia su una o più figure di riferimento per lui/lei significative (generalmente la madre o i fratelli), è una vera e propria forma di maltrattamento psicologico, il più delle volte sottovalutato o addirittura ignorato, che riverbera i suoi effetti su bambini e bambine a livello emotivo, cognitivo, fisico e relazionale. Nonostante il fenomeno resti tuttora fortemente sommerso, rappresenta la seconda forma di maltrattamento nell’infanzia, subito dopo la patologia delle cure. (TdH, Cismai, AGIA, 2021).
Assistere alla violenza non vuol dire solo vederla dispiegarsi davanti ai propri occhi, ma anche ascoltare le grida, gli insulti, il rumore delle percosse o degli oggetti rotti, oppure ancora constatarne gli effetti sia sulle figure affettivamente significative che sull’ambiente, anche fisico, di riferimento.
Numerosi studi mostrano quanto bambini e bambine siano in costante ascolto dell’ambiente che li/le circonda, sin dalla vita intrauterina. Il completamento della competenza uditiva avviene, infatti, già nell’ultimo trimestre di gravidanza, periodo in cui il feto sente e reagisce ai suoni e ai rumori. A dimostrazione di quanto l’attenzione all’ambiente di riferimento sia massima, alcune ricerche hanno evidenziato che i bambini e le bambine riconoscono i toni di voce dei genitori anche quando dormono. (Graham, Fisher & Pfeifer, 2013).
La violenza assistita può essere, quindi, considerata a tutti gli effetti come un abuso diretto sul/la minore. A sostegno di tale prospettiva, vi è uno studio condotta da Kitzmann e colleghi, che mette a confronto le conseguenze sul benessere di bambini/e che avevano subito abusi fisici rispetto a coloro che avevano assistito ad abusi domestici, rilevando che entrambi manifestavano maggiori problemi rispetto ai/lle bambini/e non esposti a violenza.
Crescere in un contesto in cui le relazioni tra gli adulti di riferimento sono basate su rapporti di sopraffazione di un membro sull’altro, mina profondamente il bisogno di sicurezza di bambini e bambine e produce conseguenze che si manifestano sia nel breve che nel lungo periodo.
Per chi fosse interessato ad acquisire maggiori informazioni sul tema della didattica a distanza o a confrontarsi con altre esperienze è possibile consultare il blog di Save the Children, uno spazio dedicato a famiglie e bambini ma non solo.